Da un punto di vista urbanistico la piscina è ritenuta da molte persone come un’opera di edilizia minore, forse perché non appare “di fatto” un volume edilizio tradizionale connotato da pareti e copertura.
Capita assai spesso la richiesta di realizzare una nuova piscina in un terreno circostante edifici situati in tessuti urbani già consolidati o anche in zone agricole, in occasione di ristrutturazioni edilizie che possono variare dalla conservazione dell’organismo fino alla sua sostituzione integrale.
Prendiamo in esame d’ora in avanti le piscine realizzate con opere murarie e con carattere di permanenza sul suolo.
La realizzazione di questo tipo di piscina comporta una trasformazione permanente del suolo, a prescindere dalla sua collocazione in profondità nel suolo stesso.
Mi spiego meglio: da un punto di vista urbanistico è indifferente se la piscina sia completamente interrata, parzialmente interrata o perfino realizzata fuori terra con artificioso movimento terra.
La piscina infissa stabilmente al suolo è qualificata come opera di nuova costruzione in quanto manufatto edilizio comportante trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, e quindi subordinato alla richiesta di Permesso di Costruire secondo l’art. 3 comma 1 del DPR 380/01, meglio noto come Testo Unico per l’Edilizia. Discorso a parte sarebbe da farsi sul regime di pertinenzialità delle piscine, meritevole di approfondimento ma rinviasi in altra sede.
Senza alcun dubbio la piscina interrata, seminterrata o fuori terra è da ritenersi una costruzione, e la conferma proviene pure dalla giurisprudenza, la quale ritiene che per costruzione si debba ricomprendere qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente; e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo, dall’uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua destinazione (Cass. n. 9679/2014, 4277/2011; Cass. n. 20574/2007).
Se la piscina consiste in una costruzione, essa deve sottostare al rispetto delle distanze legali previste dalle norme e dalla disciplina urbanistica, in particolare a quella delle distanze tra costruzioni.
Trattandosi di un manufatto deve mantenere la distanza minima tra costruzioni prevista dall’art. 873 del Codice Civile pari a tre metri, distanza aumentata fino ad almeno 10 metri con l’art. 9 del D.M. 1444/68.
La distanza minima di dieci metri tra costruzioni è stata recepita e applicata tout court in tutti gli strumenti urbanistici e regolamenti edilizi, accettando la rigida impostazione stabilita dal DM. 1444/68.
Certamente le piscine parzialmente interrate sono qualificate come costruzioni per i motivi suddetti, e ciò è condizione sufficiente per assoggettarle al rispetto delle distanze tra costruzioni.
Più interessante invece è l’assoggettamento allo stesso regime di distanze tra costruzioni per le piscine completamente interrate.
Ovviamente, come presupposto si evidenzia il mantenimento inalterato del previgente piano di campagna e del suolo, in quanto da solo farebbe scattare la necessità del permesso di costruire e l’individuazione di nuova costruzione.
La realizzazione della piscina completamente interrata risulta esclusa dal rispetto della distanza tra costruzioni, e a supporto di ciò si richiama la giurisprudenza in materia urbanistica.
I volumi edilizi completamente interrati sono esclusi dal regime delle distanze legali, benché qualificati come costruzione, in quanto la ratio delle distanze tra costruzioni è volta ad evitare la formazione di intercapedini dannose per l’igiene e salubrità, incidendo su illuminazione e aerazione.
In tal senso non c’è molta giurisprudenza, e la fattispecie più attinente è quella citata nella sentenza del Tar di Napoli n. 3520 del 2015, che a sua volta si riferisce a quella di Cassazione Civile II. n. 9679/2014.
Sintetizzando, le volumetrie completamente interrate quali le piscine (e non parzialmente interrate), non sono subordinate al rispetto delle distanze tra costruzioni, proprio perché viene a mancare la caratteristica di costruzione.
Come ribadito espressamente dalla suddetta Cassazione, ai fini del rispetto delle distanze legali, per costruzione si deve intendere «qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo (ecc)».
Venendo a mancare la sporgenza in elevazione rispetto al suolo, non scatta il presupposto per il suo assoggettamento alla distanza minima tra costruzioni.
A margine di ciò, a titolo di consiglio professionale, suggerisco di rispettare comunque le distanze legali per piscine interrate, quanto meno per rimanere al riparo da possibili “sterzate” giurisprudenziali future e futuribili.