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L’argomento “correnti parassite” (che è la dicitura corretta, anche se “correnti vaganti” è la dizione più conosciuta) e ossidazioni o perforazioni nell’acciaio dei pannelli delle piscine da esse provocate, ha sempre generato mille domande e altrettanti dubbi. Per questo motivo cercheremo di mettere un po’ d’ordine e forse sfatare alcuni miti.
Intanto definiamo, se pur in modo semplicistico, il fenomeno; si tratta di correnti che abbandonano il loro percorso stabilito (primario) per prendere delle scorciatoie a minore resistenza, attraversando conduttori incontrati “casualmente” sul loro percorso (circuito secondario).
La prima doverosa puntualizzazione che occorre fare è quella relativa alla tipologia della corrente; possono essere sia di tipo continuo che di tipo alternato, ma solo le prime sono in grado di produrre grossi danni per ossidazione, mentre quelle di tipo alternato producono danni praticamente irrilevanti.
Il caso tipico è quello delle ferrovie o delle tranvie nelle quali si utilizzano grandi quantitativi di corrente elettrica continua per far funzionare i motori di trazione. In casi come questi, la corrente che arriva da linee aeree (polo positivo), dopo essere state utilizzate dai motori ritornano verso il punto di fornitura attraverso il polo negativo costituito dalle rotaie.
Sistemi di questo tipo sono realizzati in modo da isolare il più possibile il polo negativo ovvero le rotaie, in modo che la corrente percorra il circuito stabilito.
Detto questo è facile asserire che, perché si generi il fenomeno delle correnti vaganti, si devono concretizzare quantomeno due presupposti:
- Il metodo di isolamento del polo negativo (nell’esempio le rotaie), deve avere una falla attraverso la quale la corrente può uscire,
- Il terreno circostante deve favorire la trasmissione della corrente ( in genere terreni umidi).
Se ammettiamo dunque che la corrente sia fuoriuscita e che il terreno circostante sia un buon conduttore, il fenomeno si sviluppa nel seguente modo: quando la corrente fuoriuscita incontra un conduttore metallico, lo utilizza per procedere lungo il percorso di minore resistenza. Nel punto di ingresso il metallo (per esempio una conduttura o una parte della piscina), si comporta da catodo ed è quindi protetto, ma quando la corrente nel suo percorso verso la sottostazione elettrica abbandona il metallo, questo si comporta da anodo innescando i tristemente famosi processi di corrosione.
A questo punto occorre sottolineare che anche nel caso di presenza di correnti vaganti, il fenomeno si innesca se e solo se il circuito elettrico secondario, rappresentato dal terreno che separa il binario dell’esempio dalla massa metallica e la massa metallica nel loro insieme, costituiscono un percorso di minor fatica per la corrente elettrica, cioè un percorso che offre una minore resistenza.
Da tutto questo si evince che non è poi così ricorrente incorrere in fenomeni di corrosione dovuta alla presenza di correnti vaganti.
Ciononostante, ammettiamo di essere in presenza del fenomeno o si abbiano condizioni che rendono alta la probabilità che il fenomeno si manifesti.
Come ci si può difendere? I metodi sono “nascosti” in quello che è stato detto sino ad ora.
Una delle prime asserzioni è stata che quando il metallo è attraversato da corrente elettrica in qualità di catodo, questo non si riduce, cioè non si ossida. Su questo principio si basa il metodo della corrente impressa; si induce una corrente nell’elemento metallico da proteggere e la si fa uscire da un anodo sacrificale che si ossida. Quando però l’elemento da proteggere è di grosse dimensioni, come una piscina in acciaio, le cose si complicano, soprattutto dal punto di vista economico.
Nelle pagine precedenti si è detto che la corrente vagante cerca un circuito secondario di minore resistenza rispetto al primario, allora è sufficiente fare in modo che la massa metallica che vogliamo proteggere, sia poco appetibile come percorso alternativo, isolandola (elettricamente) il più possibile dal terreno nel quale è immersa.
Infine possiamo dare alla corrente vagante che si è inserita nella massa metallica da proteggere, una via di uscita privilegiata (la corrosione avviene nel punto in cui la corrente abbandona il metallo), creando cioè il cosiddetto anodo sacrificale. Occorre collegare alla massa da proteggere un anodo costituito da un metallo meno elettronegativo che si comporti quindi in modo spontaneo, da anodo senza dimenticare di collegarlo alla massa metallica da proteggere con allumino, zinco o magnesio e facendo in modo che la massa metallica da proteggere, se costituita da parti assemblate, costituisca elettricamente un insieme continuo.