Sempre più spesso capita di vedere vasche realizzate all’interno di strutture diverse dalle tradizionali piscine pubbliche, destinate esclusivamente ad attività differenti dal nuoto.
Piscine nelle quali “è vietato nuotare”, come recitava lo slogan di una struttura milanese tra le prime a dotarsi di questo tipo di vasca.
Senza i vincoli delle misure agonistiche, l’estrema adattabilità agli spazi esistenti è il principale motivo della loro crescente diffusione.
Come qualunque altra struttura destinata ad un utilizzo di tipo pubblico, però, anche queste vasche sono soggette a qualche restrizione.
Innanzitutto, la classificazione di tipo normativo nella quale rientrano dipende dalla struttura nelle quali sono ubicate e non dall’utilizzo proprio della singola vasca. Se questa ultima viene inserita in un centro fitness aperto ai soli soci la classificazione sarà di tipo “A2”, mentre se viene costruita in una piscina pubblica propriamente detta rientrerà nella tipologia “A1”.
Quali differenze comporti l’appartenenza ad una o all’altra tipologia dipende dalla Regione nella quale è ubicata la piscina, poiché la legislazione in questo settore è stata delegata dal 2003 alle regioni e purtroppo ad oggi solo meno della metà ha provveduto a dotarsi di una propria disposizione normativa. La norma tecnica invece è unica a livello nazionale e si tratta della Norma UNI 10637 che però detta le regole solamente per quanto riguarda la realizzazione degli impianti di trattamento dell’acqua.
I requisiti chimico-fisici e batteriologici richiesti all’acqua sono stabiliti a livello nazionale dalla Tabella A contenuta nell’ Allegato 1 dell’ Accordo tra lo Stato e le Regioni del 2003.
Possiamo affermare che vige una praticamente illimitata libertà di scelta per quanto riguarda forma, misure e tipologia di costruzione, mentre vengono stabilite alcune regole per la tipologia di ricircolo e per il dimensionamento e la dotazione degli impianti di trattamento, nonché per gli aspetti relativi alla sicurezza dei bagnanti.
La forma e le dimensioni
Quando una vasca viene destinata in via principale all’acquafitness la forma più adatta rimane quella rettangolare, che consente la migliore distribuzione degli utenti in funzione dell’occupazione dello spazio disponibile nonché in funzione della disposizione dell’istruttore rispetto agli allievi. Forme diverse da quella rettangolare derivano solitamente da vincoli dovuti al locale nel quale viene inserita oppure a ragioni di tipo architettonico-estetico.
Per quanto riguarda le dimensioni, non vi sono limiti dovuti a ragioni diverse da quelle imposti dallo spazio a disposizione e da quello normativo di due metri quadri di superficie d’acqua per ogni bagnante come massima densità di affollamento ammessa. Va naturalmente considerato l’equilibrio economico, poiché vasche particolarmente piccole non consentono di compensare le spese fisse così come invece possono fare vasche in grado di ospitare almeno trenta persone contemporaneamente, limite massimo generalmente posto alle classi di utenza.
Vasche fuori terra?
Le vasche fuori terra sono una scelta obbligata nei casi in cui non è possibile scavare. In alcune situazioni gli organi di controllo non consentono di non avere un “piano vasca” al livello della superficie dell’acqua sul quale poter effettuare operazioni di soccorso nel caso si presentasse la necessità. In questo caso è necessario prevedere la realizzazione di un ballatoio sul perimetro della vasca, con un conseguente, inevitabile, aumento di costi e di spazio occupato. La larghezza minima del piano vasca è quasi uniformemente indicata in 1,5 metri.
La profondità
Nel campo dell’acquafitness l’intero range di profondità tra 1 e 1,80 m viene considerato indispensabile dai gestori e dagli istruttori. La discussione sulla corretta profondità di una vasca per l’acquafitness generalmente non si risolve in poco tempo e comunque qualunque decisione presa lascia spazio a dubbi e ripensamenti. Laddove le condizioni economiche lo rendano possibile la soluzione ideale è sicuramente rappresentata dalla realizzazione di un fondo mobile, che ha comunque un costo molto elevato, spesso superiore a quello della piscina stessa. Se la vasca da realizzare è sufficientemente grande è possibile prevedere almeno due zone a profondità diversa, mentre negli altri casi si finisce in genere per adattarsi alla profondità scelta senza troppi problemi.
Lo sfioro
La Norma UNI 10637 prevede la possibilità di non realizzare lo sfioro ma di utilizzare la tipologia di ricircolo a skimmer per le piscine di tipo A2 fino a 100 mq di superficie d’acqua. Oltre a tale estensione è obbligatorio il ricircolo a sfioro. Per le vasche di tipo A1 invece lo sfioro è sempre obbligatorio e deve estendersi almeno sui due lati lunghi o sul 60% del perimetro.
Un aspetto in genere trascurato e che si rivela causa di gravi problemi di gestione è rappresentato dalla scelta della tipologia dello sfioro, che nella maggior parte dei casi è troppo piccolo e durante il movimento non trattiene l’acqua che di conseguenza si riversa sulla pavimentazione. Ciò è dovuto sia alle dimensioni della canalina di raccolta che alla sua posizione, poiché la scelta più economica è quella di realizzare la canalina sopra il muro di cemento armato oppure agganciata alla parete prefabbricata, soluzione che non consente di trattenere l’onda che si crea durante una lezione di acquagym. In aggiunta, spesso la canalina è troppo poco profonda o troppo stretta (e entrambe le cose) ed il risultato è catastrofico.
Ciò fa pensare a chi ha già vissuto una esperienza simile che sia preferibile il sistema a skimmer, che causa invece una forte resistenza al movimento ed un ondeggiamento ancora maggiore. Come sempre, l’unica soluzione possibile è quella di fare le cose come si deve e cioè di realizzare uno sfioro più largo, comunemente detto di tipo “finlandese”.
Il rivestimento
Per numerose ragioni, quasi tutte di tipo commerciale, i costruttori di piscina propongono ormai esclusivamente il rivestimento in pvc. Va tenuto presente che questo tipo di rivestimento, indispensabile se la vasca è prefabbricata, è molto delicato e può tagliarsi soprattutto con l’utilizzo ripetuto di attrezzi come le idrobyke, così come si riga e si macchia facilmente. D’altro canto, un rivestimento di tipo ceramico va scelto in modo che risulti antisdrucciolo. Una alternativa ancora poco praticata è quella di utilizzare intonaci premiscelati appositamente studiati per il rivestimento di piscine, che consentono inoltre la scelta tra una vastissima gamma di colori.
Il sistema di trattamento dell’acqua
Questo è davvero il punto dolente di qualunque piscina realizzata per l’acquafitness. Purtroppo ancora oggi una piccola piscina è sempre ed unicamente considerata una piscina piccola, cioè una vasca rimpicciolita, e l’impianto di trattamento viene dimensionato considerando i metri cubi di acqua da trattare invece che la funzione alla quale la vasca viene destinata.
Una piscina dove si pratica quasi esclusivamente l’acquafitness va trattata con particolare cura, poiché il carico inquinante introdotto è impressionante. L’impianto di filtrazione va abbondantemente sovradimensionato e vanno utilizzati filtri particolarmente efficienti, in grado di trattenere le impurità più piccole con una altissima efficienza, magari affiancati a moderne tecnologie come i raggi uv. Quando così non accade, cioè nella totalità dei casi, l’unica possibilità che resta al gestore per mantenere l’acqua a livelli qualitativi accettabili è quella di fare un utilizzo smodato di prodotti chimici, che alla lunga non possono che rilevarsi dannosi sia per gli utenti che per gli operatori stessi, soprattutto se la vasca è coperta e l’impianto di trattamento dell’aria non è all’altezza dell’arduo compito che viene chiamato a svolgere.
Anche il sistema di disinfezione deve necessariamente essere automatico, come prevede la norma, e deve soprattutto essere estremamente affidabile. La situazione tipica dell’acquagym infatti, nella quale il viso si trova vicino alla superficie di un’acqua continuamente agitata, è estremamente favorevole a respirare le componenti volatili che si formano tra i prodotti chimici introdotti nell’acqua e le sostanze organiche apportate dai bagnanti.