La Cassazione entra nel merito della sicurezza in piscina

La gestione della sicurezza in acqua è uno dei temi che più stanno a cuore ai gestori di piscine, pubbliche e private, risultando anche uno dei più controversi, vedi le normative relative all’assistente ai bagnanti che risultano essere poco chiare e lacunose (v. articolo della Dott.sa Prola “Quanti e quali assistenti ai bagnanti servono in piscina?” del 19.06.2018).

Recentemente la Corte di Cassazione è entrata nel merito di un incidente in acqua fornendo utili indicazioni alla definizione dei compiti dell’assistente ai bagnanti. La sentenza in questione è la n° 39139 pubblicata lo scorso 29 Agosto.

IL CASO: Nel Luglio 2011 durante il nuoto libero un ragazzo di 19 anni incapace di nuotare, probabilmente a causa di una congestione, rimaneva immerso in una vasca profonda m.1.60, per un lasso temporale compreso tra i 3 e i 10 minuti. Dopo essere stato soccorso e portato in elicottero all’ospedale è stato ricoverato in Rianimazione in gravissime condizioni. L’incidente purtroppo ha provocato al soggetto l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione e la menomazione delle facoltà cognitive-mnesiche e comportamentali.

Al momento dell’incidente era presente in vasca un solo Assistente ai bagnanti che era stato adibito anche ad altro ruolo (fornitura di ombrelloni e lettini), quindi non poteva dedicarsi completamente ai compiti di assistenza e salvataggio. Inoltre non indossava la classica divisa.

Il Tribunale condanna il gestore della piscina per negligenza, imperizia ed imprudenza, consistita nell’aver adibito una sola persona all’assistenza dei bagnanti, senza adeguata divisa, che la rendesse riconoscibile, senza adeguata formazione e senza consentirgli di dedicarsi solo ai compiti di assistenza e salvataggio. La provvisionale è di €. 100.000,00.

Avverso tale sentenza il gestore propone ricorso per Cassazione deducendo: l’eccezionalità dell’evento, la colpa della parte lesa per essersi immersa a stomaco pieno e l’applicabilità non dell’atto di intesa tra Stato e Regioni del 92, bensì del D.M. 18.03.1996.

La Corte dichiara l’impugnazione inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 2.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

In particolare ribadisce che:

  • se il bagnino fosse stato adibito esclusivamente ai compiti di assistenza e salvataggio, con adeguata divisa e formazione, questo gli avrebbe consentito un pronto intervento, più rapido di quello effettuato.
  • il gestore delle piscine deve essere ritenuto  garante della sicurezza ed  ha l’obbligo di impedire gli eventi lesivi.
  • Il D.M. 18.3.1996 non si applica al caso trattato poiché: “ …limita il proprio ambito applicativo ai complessi ed agli impianti sportivi di nuova costruzione e a quelli esistenti, già adibiti a tali usi anche se inseriti in complessi nuovi sportivi.”

 

Conclusioni: se finora il buon senso sosteneva la necessità di adibire i bagnini ai soli compiti di assistenza e salvataggio, con questa sentenza ne abbiamo la certezza. Ricordiamo anche che è indispensabile fargli indossare una divisa che li renda immediatamente riconoscibili.

Inoltre alla luce della sentenza sopracitata, per analogia, cosa sarebbe successo se lo stesso incidente fosse avvenuto in contemporanea con la presenza dei corsi di nuoto e il ruolo del bagnino fosse ricoperto da un istruttore? Un Tribunale potrebbe interpretare l’impegno dell’istruzione durante il corso come una limitazione ai compiti di salvataggio?  Personalmente ritengo di sì.

Per quanto riguarda l’applicazione del D.M. 18.3.1996, il cui ambito di applicazione è limitato alle piscine “sportive”, lo stesso Tribunale nella sentenza in oggetto specifica che l’obbligo della presenza del bagnino è previsto  dall’Accordo Stato-Regioni ed è quindi superato il problema della applicabilità o meno del D.M.

 

Dott. Gianluca Bigi