La qualificazione urbanistica delle aree wellness all’interno degli alberghi pone importanti questioni legate alla normativa edilizia. In particolare, è controverso stabilire se tali spazi possano essere considerati semplici vani accessori o se rientrino tra le superfici soggette a specifiche autorizzazioni. La distinzione è tutt’altro che banale e ha implicazioni rilevanti per progettisti, autorità competenti e proprietari di strutture ricettive.
La vicenda analizzata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 10441/2025 nasce da una richiesta di sequestro preventivo di una zona situata al piano terra-seminterrato di un hotel. Sebbene l’area fosse stata indicata nel progetto come vano accessorio, di fatto ospitava diverse funzioni autonome come palestra, sala relax, cabine per trattamenti, sala buffet e altri ambienti fruibili. Il GIP e, successivamente, il Tribunale del riesame avevano rigettato la richiesta di sequestro, ritenendo non vi fosse un aumento del carico urbanistico e riconoscendo la buona fede degli indagati, dato il rilascio dei titoli edilizi e paesaggistici da parte del Comune.
Tuttavia, il Pubblico Ministero ha impugnato l’ordinanza, sostenendo che la zona wellness non poteva in alcun modo essere qualificata come vano accessorio. Secondo il PM, la normativa nazionale e regionale definisce in modo chiaro i vani accessori come spazi di dimensioni ridotte, privi di autonomia funzionale e destinati a supportare gli ambienti principali. Le aree wellness, invece, risultano abitabili e comportano un aumento del carico urbanistico, configurandosi come ambienti autonomi.
In opposizione, i difensori degli albergatori hanno affermato che non vi era alcuna difformità tra quanto progettato e autorizzato, evidenziando la conformità ai titoli edilizi rilasciati e l’assenza di rilievi da parte delle autorità in fase ispettiva. Hanno inoltre invocato la buona fede, fondata sull’affidamento nei provvedimenti concessori.
La Cassazione ha però ritenuto fondato il ricorso del PM, rilevando che il Tribunale non ha correttamente valutato se la zona fosse giuridicamente qualificabile come vano accessorio, né ha verificato adeguatamente la consapevolezza degli indagati. Per questo motivo, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza e rinviato al Tribunale per un nuovo esame che chiarisca la natura giuridica della zona wellness, nel rispetto della normativa vigente.
[Fonte: biblus.acca.it]