Affiorano dall’acqua a crocchi, capannelli, gruppetti sgranati in circoli a corto raggio. Paiono immobili ma a volte, dove il mare è più profondo, addossato alla scogliera, pedalano sotto la superficie quel tanto per restare a galla, nel languore della calura estiva. Uomini, donne, ragazzi che si ritrovano per età, sesso, provenienza geografica, conoscenza e amicizia, sfidando il controsole malandrino per riconoscersi e aggregarsi. Da Alassio alla Versilia, da Bogliasco a Paraggi, il bagnasciuga è cancellato dal bagnomaria. Si nuota solo in piscina.

 Come un social network liquido, il mare fa da supporto a confidenze e gossip, conoscenze e ricongiungimenti, popoloso di umanità terrestre che in acqua ha smesso di fare l’unica cosa esclusiva dell’elemento liquido: nuotare, appunto. «Le vede quelle piattaforme un po’ al largo? Una volta erano affollate, ci arrivavano i ragazzi per fare i tuffi, le signore per prendere il sole, erano il punto di riferimento per una nuotata. Ora non ci va più nessuno», dice Fabio Franconeri, bagnino dagli Anni 90 sulle spiagge del Ponente genovese, istruttore di salvamento. «Ci si bagna per rinfrescarsi, i ragazzi dopo una partita di pallone, gli altri dopo ore di lettino per l’abbronzatura, ma guai a fare qualche bracciata di troppo – spiega – Nemmeno i bambini. Le mamme preferiscono affidarli al miniclub, lasciarli nell’area giochi, tra scivoli e casette, così sono più tranquille».

La fascia protetta dalle imbarcazioni a motore arriva fino a 200 metri dalla spiaggia e a 100 dalle scogliere a picco, «ma ormai serve solo per chi pagaia in kajak». Del tutto estinti i pattini, «perché la gente non sa più neanche remare», resta il pedalò per spostarsi di qualche decina di metri: in fondo è come andare in bicicletta, consente la conversazione distratta, non c’è la fatica della voga, un tempo gloria di abbronzati giovanotti.

«Si entra in acqua continuando le chiacchiere di spiaggia, dalla posizione delle persone in mare si capisce il tipo di fondale: sabbioso e basso se la gente è un po’ più al largo, roccioso e profondo, se le persone restano più vicine alla riva, prima dello scalino», conferma Roberto Giansanti, insegnante di educazione fisica e istruttore, 55 anni, di cui molti passati sulla spiaggia di Lerici.

 

«Non si nuota più perché il nuoto è solitario – spiega – e viene considerato un’attività fisica, non un piacere da vacanza». Eppure l’Italia dei salvagenti a ciambellona non c’è più, le piscine sono affollate di bimbi e adulti. Il Piemonte e la Lombardia addirittura registrano il record di abilitazioni al salvamento. La piscina, quindi, è diventato il luogo deputato per nuotare, inseguendo forma e benessere. «E’ il posto dove ci si sente tranquilli perché circoscritto e delimitato – commenta Franconeri -. Si sceglie la piscina anche nello stabilimento balneare, dov’era nata come alternativa al mare mosso o alle acque inquinate».

 

«I fondali sono misteriosi, le piastrelle con le corsie sono rassicuranti. Non ci sono meduse, non ci sono pesci, non c’è niente da vedere là sotto» aggiunge Giansanti. «Vede la prima boa bianca laggiù? E’ a 20 metri dalla spiaggia. Il limite massimo per tutti», conferma Vittorio Dani, bagnino decano di Alassio.

Alessandra Pieracci

 

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