L’articolo del nostro avvocato Maura Bridarolli esamina un caso specifico accaduto in una piscina pubblica.

 

CASO: al termine di una discesa da uno scivolo ad acqua, un frequentatore del parco acquatico urtava violentemente il capo contro le strutture della vasca riportando lesioni cerebrali gravissime.

Dalla ricostruzione dei fatti emergeva che:

–        Il ragazzo aveva effettuato la discesa assumendo una delle posizioni consentite dai gestori dell’impianto.

–        La vasca di caduta non era direttamente sorvegliata da addetti alla sicurezza.

–        L’incidente si è verificato il giorno successivo l’inaugurazione dell’impianto, senza che quest’ultimo fosse stato sottoposto a collaudo preliminare per attestarne la conformità alle norme tecnico-costruttive (DIN).

 

L’infortunato citava in giudizio l’ente gestore, la ditta costruttrice l’opera e i bagnini del lido al fine di accertare le rispettive responsabilità.

All’esito del giudizio di primo grado le richieste attoree venivano respinte, stante l’accertamento del rispetto delle norme tecniche nella costruzione dell’impianto pur ammettendo, il primo giudicante talune mancanze considerate di modesta entità.

In secondo grado (Cap. TN 23 dicembre 2003) l’appellante rinunciava all’azione nei confronti degli assistenti bagnanti ed insisteva nelle proprie ragioni verso l’ente gestore rilevando l’inadempimento dell’obbligazione accessoria al contratto stipulato all’atto del pagamento del biglietto e consistente nel garantire agli utenti la sicurezza delle strutture.

La Corte di Appello ribaltava totalmente il giudizio del primo giudicante, ritenendo che le manchevolezze costruttive e la mancanza dei controlli abbiano rilevanza causale nella realizzazione del sinistro.

La motivazione della Corte trova particolare pregio in quanto pone l’attenzione sul ruolo che assume il rispetto delle norme tecniche nell’economia della negligenza in capo ai soggetti responsabili. Rileva la Corte che la difformità fra quanto realizzato e quanto previsto dalle norme tecniche (rappresentative del requisito minimo di sicurezza), diventa l’archetipo attraverso il quale giustificare la conclusione che il costruttore non si è attenuto alle direttive impartite dalla società che ha progettato l’impianto, e che il committente ha omesso i controlli tesi a verificare l’osservanza di queste norme costruttive alla consegna del manufatto (mancanza del collaudo).

Con la decisione in commento, la Corte di Appello di Trento ha posto particolare attenzione agli standard minimi di sicurezza quale paramento di condotta diligente, inserendosi nell’ampio dibattito relativo al valore giuridico attribuibile alle norme tecniche, nonché al ruolo che esse svolgono nella struttura del giudizio di responsabilità.

Le norme tecniche sono il frutto di un processo di armonizzazione di regole e procedure finalizzate a garantire i requisiti essenziali relativi alla sicurezza e alla salute degli utenti e presentano effetti di rilevanza generale, pur derivando da organismi indifferentemente pubblici o privati.  Per quanto riguarda il loro ruolo nel giudizio di responsabilità si è posto in giurisprudenza e  dottrina il problema dell’esaustività o meno di un giudizio di colpevolezza posto sul riscontrato mancato rispetto dello stardard tecnico[1]. La dottrina vede contrapposte due tesi: l’una determinante l’automatico giudizio di colpa in caso di violazione di una norma tecnica. Si tratterebbe di colpa in re ipsa che non lascerebbe spazio a valutazioni discrezionali del giudice sul calcolo delle precauzioni da prendere, in quanto già determinate proprio dalla norma tecnica; l’altra tesi si basa sui criteri di prevedibilità ed evitabilità. In tale caso, nonostante vi sia la regola tecnica, il giudizio dovrà comprendere anche una valutazione sulla prevedibilità ed evitabilità dell’evento, indipendentemente dalle circostanze esplicitamente richiamate dalla norma.

La giurisprudenza si atteggia differentemente. Nel caso in esame infatti il primo giudicante per esempio, ha ritenuto irrilevante la difformità dell’impianto alle norme tecniche, considerate quali meri indicatori. Diversamente, la Corte, ha operato nel senso di considerare le norme DIN quali standard minimi di sicurezza non derogabili. Comportando con ciò la violazione delle stesse, la valutazione della colpa ovvero la formazione del giudizio di responsabilità in caso di violazione delle norme tecniche stesse.

 

Avv. Maura Bridarolli  bridarolli@professioneacqua.it

 

 

[1]    Danno e Resp. 2004, 5, 559