Partiamo innanzitutto da alcune definizioni CARDINE, giusto per mettere in chiaro nozioni e concetti.

La LETTERA D, a che impianti si riferisce?
Si riferisce a TUTTI gli impianti idrici, di qualsiasi natura o specie.

Si, avete capito bene. Qualsiasi natura o specie. Significa che l’abilitazione permette non solo di operare su impianti connessi a piscine, ma si estende anche agli impianti di diversa destinazione, come i sanitari ad esempio.

Il Ministero l’ha definito chiaramente. Non deve esistere limitazione alcuna (come invece esisteva in passato) all’ambito operativo nel settore degli impianti idrici (naturalmente per chi è abilitato).

Ma come si matura questo requisito professionale?

La Legge prevede 4 strade “ordinarie” (alternative fra loro), che possiamo definire “oggettivamente incontrovertibili”, ossia chiare e certe. Cristalline.

  • Percorso scolastico

Il requisito è garantito dal raggiungimento della Laurea in una materia tecnica specifica (a titolo esemplificativo, Architettura, Fisica, Ingegneria edile..).

  • Percorso combinato (DIPLOMA + 1 ANNO DI LAVORO)

Il requisito è garantito dal possesso di un diploma di scuola superiore in materie tecniche specifiche (ITIS..), abbinato poi ad una regolare esperienza lavorativa di almeno un anno nel settore degli impianti idrici (sia in qualità di dipendente operaio, sia in qualità di socio, titolare o collaboratore famigliare)

  • Percorso combinato (ATTESTATO PROFESSIONALE + 2 ANNI DI LAVORO)

Il requisito è garantito dal possesso di un attestato di formazione professionale in materie tecniche specifiche (Centri di formazione Professionale..), abbinato poi ad una regolare esperienza lavorativa di almeno 2 anni nel settore degli impianti idrici (sia in qualità di dipendente operaio, sia in qualità di socio, titolare o collaboratore famigliare)

  • Percorso lavorativo (3 ANNI CON LA QUALIFICA DI SPECIALIZZATO, O RICONDUCIBILE)

Per coloro che hanno esperienza di lavoro subordinato, il requisito si raggiunge dopo aver maturato almeno 3 anni di lavoro, presso imprese impiantistiche idrauliche, con la qualifica di OPERAIO SPECIALIZZATO secondo il CCNL applicato.

Per coloro invece che hanno lavorato in qualità di titolari, soci o collaboratori famigliari, il requisito si matura dopo 4 anni di lavoro.

*Attenzione.
Le esperienze lavorative di cui sopra devono avere alcune caratteristiche fondamentali.

Innanzitutto, devono essere svolte presso imprese che risultino già regolarmente abilitate, proprio in virtù del fatto che i cantieri devono essere stati sottoposti alla corretta sorveglianza di un Responsabile Tecnico Impiantista (di converso, il lavoro non potrebbe essere stato eseguito, e quindi l’esperienza risulterebbe illegittima).

L’esperienza di lavoro deve rappresentarsi come “pratica sul campo”, e non solo “da ufficio”. Sostanzialmente, l’inquadramento amministrativo deve garantire l’adeguata copertura assicurativa e previdenziale per l’accesso sui cantieri ed il lavoro manuale. Esemplificando, il socio della società che non viene assicurato all’INAIL per l’accesso sui cantieri, ma solo per il rischio ufficio, non potrà dimostrare di aver maturato esperienza di lavoro sul campo, e quindi non otterrà il requisito professionale.

**Attenzione

Possono essere presi in considerazione, naturalmente, anche titoli di studio e/o esperienza di lavoro estere, purché preventivamente legalizzati dai Consolati, e resi equipollenti dal Ministero, al fine di allinearli legalmente al paritetico requisito italiano.

I requisiti normativi di cui sopra non hanno una prescrizione temporale.

Significa che “non scadono”, o comunque non sono soggetti a decadenza temporale.

Basta averli maturati dal 1990 in avanti (data di entrata in vigore della prima Legge in materia).

Una volta appurato il requisito, come viene certificato?

L’imprenditore deve presentare apposita istanza telematica alla rispettiva Camera di Commercio (che è l’organo deputato alla verifica formale e sostanziale), esibendo idonea documentazione comprovante il possesso del requisito in capo a se stesso, ovvero del proprio collaboratore/dipendente (o autocertificandolo nei casi di documenti già in possesso dei i Pubblici Uffici).

La pratica sarà corredata, naturalmente, anche dall’accettazione dell’incarico del Responsabile Tecnico, qualora si tratti di persona diversa dall’imprenditore.

Una volta terminata la verifica istruttoria da parte della Camera di Commercio, l’impresa riceverà la convalida dell’abilitazione attraverso l’annotazione normativa direttamente sul proprio certificato anagrafico (e visura camerale), e l’iscrizione della qualifica del Responsabile Tecnico sotto il nome del diretto interessato.

Anche se il requisito è consapevolmente maturato, quindi, per poter intraprendere legittimamente l’attività, è necessario ottenerne la debita certificazione camerale.

Qualsiasi attività impiantistica svolta in assenza della certificazione, se pur “garantita” da un potenziale requisito valido, sarà considerata comunque illegittima.

 

All’interno dell’azienda, chi deve risultare in possesso dell’abilitazione per poter operare legittimamente?

E’ indispensabile che almeno una persona, facente parte dell’organico INTERNO aziendale, risulti in possesso dell’abilitazione e ne chieda il riconoscimento alla Camera di Commercio.

Il titolare, un socio, un collaboratore famigliare, un dipendente, un institore.

Non vi sono altre figure che possano ricoprire l’incarico per poter abilitare l’impresa.

Può un Professionista ESTERNO all’azienda ricoprire la funzione di Responsabile Tecnico?

No, no, e ancora no.

La Legge IMPONE tassativamente ed inderogabilmente che il Responsabile Tecnico sia “immedesimato internamente all’azienda” attraverso un vincolo stabile ed esclusivo (rapporto societario, di dipendenza, di famiglia).

Per esclusività s’intende che lo stesso non possa svolgere altri lavori continuativi (a qualsiasi titolo) al di fuori dell’azienda in cui è nominato Responsabile Tecnico.

L’unica eccezione all’esclusività è derogata solo per coloro che risultino rappresentanti legali.

Esempio:

  • Mario Rossi è legale rappresentate e responsabile tecnico della società ALFA, ed è anche legale rappresentante di una società BETA. Va bene.
  • Mario Rossi è legale rappresentate e responsabile tecnico della società ALFA, e nella società BETA è socio, ma non legale rappresentante. NON VA BENE. E’ incompatibile perché manca la legale rappresentanza in entrambe le imprese.
E chi non è in possesso di questi requisiti e/o non può assumere un Responsabile Tecnico?

Esistono delle strade “alternative”, o se vogliamo “straordinarie”, per le quali può essere concessa l’abilitazione dalla rispettiva Camera di Commercio.

ATTENZIONE: per le ipotesi di cui sotto, non è possibile stabilirne certezza a priori, in quanto soggette a valutazione discrezionale dell’Ufficio Pubblico, che esaminerà caso per caso.

Ma vediamo quali possono essere:

  • Soggetto che, alla data di entrata in vigore dell’ex Legge 46/90 (marzo 1990), risultasse svolgere IN PROPRIO l’attività di installazione impianti da almeno un anno
  • Soggetto che, alla data di entrata in vigore del DM 37/08 (marzo 2008), risultasse svolgere IN PROPRIO (come titolare di impresa individuale o socio di società) l’attività impiantistica esclusa dall’ambito della Legge 46/90 (nello specifico, trattasi di impianti di piscine esterne e/o impianti idrici posti al servizio esterno di edifici di qualsivoglia natura e/o al servizio interno di edifici non civili)
Ricordiamo, infine, l’art. 8 del DM 37/08:
Obblighi del committente o del proprietario
  1. Il committente e’ tenuto ad affidare i lavori di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione straordinaria degli impianti indicati all’articolo 1, comma 2,
    ad imprese abilitate ai sensi dell’articolo 3