Articolo pubblicato su ” TIS – Il Corriere Termo Idraulico Sanitario”  1998

Quando l’editore mi ha proposto di scrivere un articolo sul trattamento dell’acqua per gli impianti natatori e i parchi acquatici su questa rivista dedicata ad operatori tecnici e professionisti altamente qualificati ed abituati a leggere articoli basati su certezze tecniche e scientifiche (o perlomeno aggiornati allo stato dell’arte), mi sono ritrovato abbastanza imbarazzato perché in Italia (caso forse unico nel panorama dei Paesi civilizzati) non esiste una vera legislazione relativa alle piscine.
O meglio l’unico riferimento di un certo valore “legale”, dopo una lunga serie di vicissitudini, rimane ancora la vecchia Circolare del Ministero della Sanità N. 128 del 1971.
Oltre alle inevitabili “grinze” dell’età, la circolare N. 128, che è stata per sua natura fin dall’origine povera di contenuti tecnici, è poco in grado di fornire a progettisti e costruttori gli orientamenti necessari per rispondere alle mutate richieste del mercato ed allo sviluppo di nuove tecnologie.
Per questo motivo ho accettato volentieri di trattare l’argomento in due parti: la prima intesa a chiarire appunto gli aspetti normativi, che comunque si sono sviluppati soprattutto grazie alla buona volontà degli operatori, e la seconda per affrontare invece gli aspetti tecnici e progettuali dell’impianto di piscina che, evidentemente, non posso prescindere dalla prima parte.

PARTE PRIMA

QUADRO LEGISLATIVO E NORMATIVO NAZIONALE PER LA PROGETTAZIONE DI IMPIANTI DI PISCINE PUBBLICHE.

1) Una breve cronistoria……
La Circolare N. 128 del 16 luglio 1971 ha come titolo “Vigilanza igienico – sanitaria sulle piscine” ed ha una struttura abbastanza articolata occupandosi sia della qualità dell’acqua (di alimentazione, di vasca e di ricircolo), sia della modalità della disinfezione e dei disinfettanti che dei criteri di dimensionamento e dei controlli.
Pur essendo per quei tempi abbastanza accettabile, manca tuttavia del necessario approfondimento tecnico giustificativo e soprattutto contiene indicazioni e prescrizioni assolutamente obsolete (ad esempio l’analisi del Cloro con orto – tolidina, oltretutto ora vietata perché cancerogena, l’analisi dei Cloruri come criterio per valutare lo stato di vecchiezza dell’acqua, ecc..).
Tale Circolare ebbe poi una marginale integrazione con la successiva Circolare N. 86 del 15/06/72.
Anche allo scopo di colmare le lacune della “128”, i più importanti fabbricanti di impianti dell’epoca, aderenti ad Aqua Italia, elaborarono una Norma (Dicembre 1982) che, a parere dello scrivente, rimane ancora una delle più importanti se non altro perché è l’unica (anche tra quelle successive) che tenta una ragionevole correlazione tra il dimensionamento degli impianti con il reale tasso di utilizzo degli impianti stessi.
Tale Norma, a lungo utilizzata da molti progettisti non ebbe mai alcun riconoscimento “formale” anche perché già allora era attiva una Commissione ministeriale della Sanità incaricata appunto di elaborare uno strumento legislativo più importante e completo della Circolare del ’71.
Difatti, nel 1992, venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (Supp. Ord. N. 32 alla GU del 17/02/92) il famoso “Atto di intesa tra Stato e regioni relativo agli aspetti igienico – sanitari concernenti la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso natatorio”.

Evidentemente l'”intesa” era tutt’altro che tale dal momento che, poco più di un anno dopo (Circolare Ministeriale 400.4/12/1205 del 21/07/93), ne veniva sospesa l’efficacia e, nel contempo, si raccomandava alle regioni di “….non adottare alcun provvedimento legislativo in attesa che…”.
L’attesa si è prolungata a tutt’oggi e non esistono segnali di prossimi provvedimenti legislativi……
Va tuttavia detto che, malgrado l’inefficacia, l’Atto di intesa costituisce ancora un punto di riferimento comunemente accettato per il duplice motivo che contiene un complesso di articoli molto più approfondito e aggiornato rispetto alla Circolare N. 128 e che comunque rappresenta l’ultimo punto di vista ministeriale sulla materia.
In ogni caso, perdurando il silenzio dell’Amministrazione centrale della Sanità e malgrado la sua raccomandazione da astenersi dal legiferare, si sono poi avute altre iniziative quali la pubblicazione di una Norma UNI (la N. 10637 del Giugno 1997) presumibilmente supportata dal CONI, ma soprattutto una miriade di Regolamenti locali emanati a partire dalle Regioni fino a Comuni più o meno grandi.
Da dire che alcuni di questi sono risultati molto opportuni ed utili.
Infine, a parte la competenza del Ministero della Sanità sulle questioni più o meno direttamente collegate alla salvaguardia igienico – sanitaria degli utenti, esiste anche quella, attribuita al Ministero dell’Interno, riguardante l’aspetto della sicurezza in generale degli impianti sportivi, ivi comprese le piscine.
Anche se l’ottica è diversa, non di meno vengono dettate norme che influenzano sia l’elaborazione del progetto che la gestione.
Si cita in particolare il Decreto Ministeriale (Ministero dell’Interno) del 18/03/96 pubblicato sul Supplemento Ordinario della GU N. 61 del 11/04/96.

2) Il quadro legislativo e normativo atteso
Come detto mancano i segnali di arrivo di una prossima legge o decreto nazionale relativo alle piscine.
Ma, a parte il fatto che questa ipotesi potrebbe essere smentita domani ( se è vero che le vie del Signore sono infinite, è certo che il Ministero della Sanità ne ha almeno una di più), non c’è dubbio che in Italia una appropriata legislazione è ormai improcrastinabile se non altro per mettere fine al proliferare di norme locali che spesso discriminano o penalizzano diversamente i gestori a seconda della ASL da cui dipendono.
Sono inoltre attese a breve delle “Linee Guida” pubblicate dalla Organizzazione Mondiale della Sanità relative all’acqua di piscina (già sono state pubblicate quelle sull’acqua di balneazione).
Sul fronte normativo ci sono pure molte iniziative in corso, in particolare a livello CEN (Comitato Europeo della Normazione).
Da segnalare l’attività del TC 136 (Attrezzature sportive) che ha già in avanzato grado di completamento un set di standard (PrEN 13451/1÷9) relativi però ai soli “equipaggiamenti” delle piscine ossia alle attrezzature di contorno (scalette, corrimano, trampolini ed accessori vari).
Ovviamente queste norme saranno di grande interesse soprattutto per i progettisti esecutivi degli impianti natatori.
Anche all’interno del TC 164 (Fornitura dell’acqua) ci sono ambiziose proposte di creare standard europei relativi all’acqua di piscina ed al suo trattamento.
Francamente non si vede come questa proposta possa avere successo stante il fatto che questa materia in Europa è per lo più di pertinenza di organismi governativi (Ministeri della Sanità) piuttosto che di Enti normatori (che, al massimo, danno allo Stato il supporto tecnico) e stante soprattutto il fatto che le legislazioni nazionali esistenti sono talmente diverse tra loro da rendere più che improbabile una loro armonizzazione nel breve – medio periodo.
Più probabile invece che lo stesso TC 164 del CEN possa produrre Norme relative agli standard qualitativi dei prodotti chimici comunemente impiegati per il trattamento dell’acqua.

3) I punti nodali e controversi
Come visto, malgrado la mancanza di una regolamentazione ufficiale, non mancano certamente riferimenti tecnico – normativi più o meno validi.
Il guaio è che forse ce ne sono troppi e contraddittori tra loro per alcuni aspetti qualificanti.
Nel seguito si cercherà di esaminarne alcuni tra i più importanti cercando, per quanto possibile, di darne spiegazione.

3.1) Piscina pubblica e privata. Il nodo del controllo e della responsabilità
Probabilmente uno dei motivi che hanno determinato il rigetto dell’Atto di Intesa, sta proprio nella definizione che viene data riguardo alla destinazione d’uso della piscina laddove si dice che quelle pubbliche sono tutte quelle non private e che queste ultime sono quelle inserite in complessi abitativi mono e bifamiliari, gestite sotto la responsabilità del proprietario o dei proprietari e frequentate esclusivamente dai familiari o dei loro ospiti. Queste sono di conseguenza escluse dall’ambito della norma.
Questa definizione, di per sé sensata, porta tuttavia ad una serie di obblighi tecnici ed oneri gestionali particolarmente gravosi.
Non per nulla la successiva Norma UNI 10637 introduce una terza tipologia identificabile come riservata ad un “gruppo definito ed identificato” di utenti (alberghi, club, caserme, associazioni, ecc..).
Trattandosi però di Norma esclusivamente tecnica e per di più “volontaria” (come accade per tutte le Norme UNI non inserite in schemi legislativi), poco o nulla viene detto riguardo alla figura del gestore e delle sue responsabilità pur essendo implicito che debba esserci essendo prescritti taluni controlli di gestione.

3.2) I parametri chimici principali
A parere dello scrivente i parametri chimici più importanti per valutare la condizione igienico – sanitaria di un’acqua di vasca di piscina sono sostanzialmente 3:
– concentrazione di disinfettante residuo (Cloro);
– pH;
– torbidità (solidi sospesi)
Le varie norme menzionate non differiscono ovviamente di molto tra di loro rispetto a questi parametri, ma pur tuttavia talune differenze sono abbastanza significative e, soprattutto, sono tutte ampiamente criticabili.

3.2.1) Cloro residuo
E’ assolutamente necessario premettere che non solo la presenza di Cloro è l’unica garanzia, facilmente rilevabile, circa la protezione del bagnante da agenti microbici pericolosi ma anche che la sua concentrazione disponibile in vasca deve essere sempre tale da fronteggiare qualsiasi carico inquinante nel momento stesso in cui questo arriva cioè in pratica proprio quando il bagnante entra in vasca.
In proposito giova ricordare che ciascun bagnante consuma mediamente circa 10 grammi di Cloro e che l’ingresso contemporaneo in vasca, ad esempio di una scolaresca, può porre seri problemi se il ripristino del Cloro non è tempestivo e sufficiente.
Ciò premesso si rileva che tutte le norme tendono a limitare al massimo la presenza di Cloro ma che tuttavia nel tempo tale restrizione si è andata attenuando e che, soprattutto, rispetto alla Circolare 128, si tiene in debito conto della presenza negativa del Cloro combinato (tra l’altro massimamente responsabile, assai più Cloro libero, sia del puzzo di Cloro che dei fastidi agli occhi e all’epidermide).
I limiti per lo più accettati per il Cloro libero sono oggi compresi tra 0.5 e 1.2 (in dipendenza del pH in quanto questo determina la vera “disponibilità” del Cloro come Acido Ipocloroso) mentre per il Cloro combinato i valori massimi sono compresi tra 0.3 e 0.5 mg/l (ancora in dipendenza del pH).
Se questi limiti fossero effettivamente mantenuti e rispettati non c’è alcun dubbio che l’acqua di vasca sarebbe davvero in condizioni ottimali anche per il controllo della Legionella.
Sta proprio nella possibilità di rispettarli e di mantenerli anche in condizioni di carico repentinamente variabili, che si appuntano le maggiori critiche.
Andando con ordine:
– innanzitutto, se è pur vero che in caso di pH elevato è necessario mantenere la concentrazione di Cloro la più alta possibile nella “forchetta” ammessa (per le ragioni viste) è anche vero che bisognerebbe scoraggiare con più rigore il mantenimento di pH elevati (cioè superiori a 7.7 – 7.8);
– in piscina si usano vari tipi di “Cloro”: a parte l’Ipoclorito di Sodio (la comune Varechina), i più diffusi sono i “Clorocianurati” (niente a che vedere con il “Cianuro”) nei quali il “componente” Acido isocianurico agisce come “stabilizzante” del Cloro impedendone la decomposizione ad opera soprattutto di agenti atmosferici e consentendo quindi ragguardevoli risparmi.
Tuttavia il legislatore (o il normatore) hanno “dimenticato” che l’Acido isocianurico ha un effetto “deprimente” sulla attività del Cloro simile a quello dell’elevato pH.
Al punto che, se la concentrazione di Acido isocianurico fosse prossima a quella massima consentita (75 mg/l) solo il 20 % circa del Cloro libero totale sarebbe effettivamente ed istantaneamente disponibile per l’azione disinfettante.
E’ quindi chiaro che la presenza contemporanea di Cloro ed Acido Cianurico richiederebbe una sostanziale revisione verso l’alto della concentrazione di Cloro libero in vasca.
Purtroppo esiste una “atavica” remora ad esporre valori più elevati anche se nella pratica (e per fortuna) ciò viene comunemente fatto almeno nelle piscine più frequentate in barba ai limiti.
– La formazione e la concentrazione di Cloro combinato (Cloroamine) dipende da un complesso di reazioni (break – point) fortemente dipendente dal rapporto tra Cloro disponibile e composti aminici (questi ultimi apportati da sudore, urina, ecc..) ed è tanto più elevata quanto più il rapporto è basso. Ne viene che la loro necessaria eliminazione richiede forti apporti di Cloro oltre che un accurato trattamento dell’acqua negli impianti di ricircolo.

– Infine, ma non ultimo, esiste il problema del ripristino del Cloro dal momento che anche le norme più recenti impongono limiti molto restrittivi di concentrazione anche per l’acqua di immissione in vasca (addirittura nell’Atto di Intesa tale limite è quasi uguale a quello di vasca così da rendere possibile il ripristino della concentrazione ottimale in non meno di 4 – 6 ore, cioè il tempo di ricircolo totale dell’acqua di vasca, e posto che nel frattempo non si abbiano altri apporti inquinanti.

3.2.2) pH
Dell’importanza del pH già si è fatto cenno riguardo ai suoi effetti sul Cloro.
Ma esso è anche molto importante per il mantenimento degli equilibri salini che regolano la capacità “incrostante” dell’acqua.
Con le acque medie italiane (cioè abbastanza dure) l’avere un pH 8 o più determina l’inevitabile precipitazione di Calcare che, se pure può non avere effetti igienico – sanitari diretti, certamente crea problemi di funzionamento agli impianti di filtrazione posti sul sistema di ricircolo.
Le tolleranze riguardo ai valori di pH elevati sono quindi il risultato di considerazioni teoriche (è vero cioè che la disinfezione può avvenire anche a pH 8, o più, posto che si aumenti la concentrazione del Cloro) ma di certo non soddisfano una concreta, ottimale gestione.

3.2.3) Torbidità
I “numeri” alquanto diversi riportati nelle varie norme (da 1.5 a 8) dipendono da un lato dalla “confusione” creata dalle diverse unità di misura (mg/l SiO2 piuttosto che FTU) ma anche da una non “realistica” correlazione tra i valori di torbidità ed i valori di solidi sospesi (ad esempio nella Norma UNI appare almeno improbabile che ad una torbidità fino ad 8 FTU possa corrispondere una concentrazione massima di solidi sospesi di appena 4 mg/l).
Anche in questo caso la Norma Aqua Italia appare non solo più affidabile (1.5 FTU di torbidità con 5 mg/l di solidi sospesi) ma anche più “protezionistica” riguardo al bagnante.
Non va infatti dimenticato che i solidi sospesi nell’acqua di piscina sono per lo più costituiti da materia organica che non solo “consuma” Cloro ma che dà anche protezione “fisica” ai microrganismi (in quanto solidi sospesi) e pure “nutrimento” (in quanto materia organica).
Una elevata torbidità è dunque indice di cattivo funzionamento degli impianti di filtrazione (a parte il caso di forte afflusso istantaneo di bagnanti) ed anche di scarsa o inibita capacità disinfettante del Cloro quand’anche presente in concentrazione ottimale.
In conclusione vale la pena anticipare che, previa l’auspicata revisione dei 3 parametri, il loro corretto controllo e mantenimento determinano la quasi certezza che anche la qualità microbiologica dell’acqua è ottimale e sicura.
E’ una conclusione di non poco conto in quanto le determinazioni chimiche coinvolte sono facili, istantanee ed addirittura realizzabili in continuo con registrazione dei dati mentre quelle microbiologiche complesse e lunghe (almeno 3 – 4 giorni) e perciò con conseguenze sul bagnante facilmente immaginabili.

3.3) Altri parametri chimici
Esauriti i parametri “fondamentali” conviene fare un breve cenno al parametro “Cloruri” che pur essendo assolutamente innocuo per salute, ha provocato (e talora provoca ancora) enormi danni alla gestione sia diretti che indiretti.

Per capire i danni diretti, occorre spiegare come e perché sono entrati nella Circolare N. 128 (che, per le ragioni viste è ancora presa da taluni come riferimento legislativo dopo la “caduta” dell’Atto di Intesa) malgrado appunto siano del tutto privi di significato igienico.
I Cloruri nell’acqua di piscina si formano essenzialmente a causa di:
– impiego di Cloro (che dopo avere esaurito la propria funzione disinfettante diventa appunto il “Cloruro”);
– impiego di Acido Cloridrico (per neutralizzare il continuo apporto di Alcalinità dovuto al dosaggio di Ipoclorito di Sodio).
Entrambi i fattori sono evidentemente dipendenti dal tempo e dall'”affollamento” della piscina e quindi l’incremento dei Cloruri è stato assunto per parametrare il grado di “vecchiezza” dell’acqua o di riflesso il grado di ricambio dell’acqua previsto da tutte le norme e leggi.
L’incremento massimo nella Circolare N. 128 è pari a 30 mg/l e, addirittura, superato il valore di 50 mg/l, viene imposto il ricambio totale dell’acqua (con grande gioia del gestore costretto a buttare in fogna acqua costantemente scaldata a 24° o più).
Purtroppo il ragionamento seguito dal legislatore, logicamente ineccepibile, cozza però contro la realtà della gestione pratica dove l’incremento dei Cloruri dipende non solo in modo variabile dai fattori indicati ma anche da altri ancora. Infatti:
– non tutti i “Cloro” derivati apportano Alcalinità in uguale misura (ad esempio i Clorocianurati non ne apportano affatto);
– per neutralizzare la Alcalinità possono essere usati altri acidi.
Ad esempio (e qui vengono i danni indiretti) in molti casi l’Acido Cloridrico è stato sostituito con Acido Solforico, la cui manipolazione di gran lunga più difficile e pericolosa, e non infrequenti sono state le ustioni degli operatori.
A parte il fatto che lo stesso principio della “vecchiezza” dell’acqua potrebbe essere messo in discussione (se l’acqua è “perfetta” cosa cambia se è stata ricircolata più a lungo?), appare più ragionevole il criterio adottato dalla Norma di Aqua Italia dove, come parametro di valutazione, è stato preso quello dei Nitrati, più oggettivamente vincolato all’uso dell’acqua in quanto si possono formare esclusivamente dalle reazioni di break – point delle sostanze aminiche apportate dai bagnanti e quindi dal reale carico inquinante (salvo, eventualmente, adottare sistemi “esterni” di denitrificazione).

3.4) I parametri microbiologici
La questione dei parametri chimici è stata relativamente facile da argomentare in quanto legata a “certezze” comprovate ed analiticamente assai più semplici.
Al contrario i parametri microbiologici sono ancora molto controversi per molteplici ragioni:
– è ancora aperto il dibattito fra i microbiologi riguardo ai parametri da assumere come indicatori di inquinamento generale e specifico non essendo pensabile eseguire un controllo microbiologico che li possa comprendere tutti, analizzandoli uno ad uno.
– Le metodologie analitiche, peraltro esse stesse controverse, possono essere differenti e con diversi risultati (non essendo microbiologo, posso affermarlo per avere assistito a discussioni animate di periti avversi).
– Il valore “numerico” della determinazione è altamente questionabile anche in termini statistici (in taluni casi si afferma che solo variazioni di un ordine di grandezza sono significative).

 

Cioè affermare che in un’acqua ci sono 20 colonie/ml è come dire che potrebbero essercene 10 o piuttosto 50.
– Vari generi di microrganismi (ad esempio Pseudomonas spp e Stafilococchi spp) esistono a volte in centinaia di germi diversi di cui solo una minima parte è patogena. La ricerca del “genere” dunque, quand’anche significativa riguardo alla presenza possibile di una fonte di inquinamento, non è però di fatto risolutiva riguardo alla presenza di un rischio attuale e reale.
– I tempi analitici sono estremamente lunghi. Non di rado tra il prelievo del campione e il relativo bollettino di analisi passano anche oltre 10 giorni: nel frattempo, nel bene o nel male, può essere successo di tutto.
– Le metodologie e punti di campionamento sono molto delicati e sensibili. Anche se le norme indicano dove i campioni debbano essere prelevati, non vengono per lo più indicati i tempi di prelievo rispetto all’attività di apertura della piscina (esperti prelevatori assicurano, e non ho dubbi in proposito, che possono mettere nei guai un gestore, o viceversa, scegliendo il momento appropriato del prelievo).
Queste ragioni tra l’altro, giustificano il precedente suggerimento di considerare la priorità del controllo chimico, possibilmente continuo, di quei parametri (Cloro, Torbidità e pH) che, se gestiti al meglio, possono appunto dare di per sé ampie garanzie di sicurezza, anche riguardo all’inquinamento microbiologico.
Rispetto comunque ai parametri microbiologici via via presi in considerazione dalle varie norme, esistono maggiori e più importanti differenze che non per i parametri chimici, con conseguenze molto gravi per la gestione sia di tipo economico che di immagine.
Sulla base di questi infatti vengono emesse ogni anno decine o centinaia di ordinanze di sindaci che impongono la chiusura o la sospensione dell’attività della piscina ovvero l’adozione di misure “riparatrici” non ben definite.
Oltretutto, spesso, tali decisioni nascono da ignoranza o da errata interpretazione della norma di riferimento.
Ad esempio, posto che le autorità sanitarie locali, laddove non ci sono propri regolamenti, si dividono in genere tra il partito che “segue” i dettami della Circolare N. 128 (in linea di principio hanno ragione) e quello che fa riferimento all’Atto di Intesa (tecnicamente più aggiornato), si prendono spesso abbagli “numerici” laddove la prima fissa il limite per lo Stafilococco a 10 UFC/100 ml (però di “aureus”) mentre l’Atto di Intesa pone il limite 30 UFC/100 ml (però di “spp”).
In aggiunta il “partito” dell’Atto di Intesa deve fare i conti anche con il genere Pseudomonas spp (non presente nella Circolare)che, al contrario dello Stafilococco, proviene prevalentemente da fattori ambientali piuttosto che dal corpo umano.
Di fatto quindi diviene praticamente impossibile, anche in una piscina ben condotta, rispettare costantemente il limite richiesto di 10 UFC/100 ml.
Questo problema, che avrebbe dovuto essere risolto con rapidità, ha prodotto (e continua a produrre) una quantità incredibile di problemi ai gestori che si trovano a dover fronteggiare denunce ed imposizioni di ogni tipo.
Ad esempio ciò è accaduto in molte aree del Piemonte fino a quando, finalmente, l’Assessorato alla Sanità di quella Regione (Agosto 2000) si è decisa ad emanare una propria direttiva con la quale fissa i limiti unicamente per i germi Stafilococcus Aureus e per lo Pseudomonas Aeruginosa entrambi a 5 UFC/100 ml.

E’ possibile, anzi probabile, che altre Regioni o autorità locali abbiano preso provvedimenti analoghi (ad esempio la Regione Emilia – Romagna ha addirittura depennato sia lo Stafilococco che lo Pseudomonas dalla lista dei parametri microbiologici da controllare), rimane comunque il fatto delle disparità di comportamento e della mancanza di una voce autorevole (lo Stato) che metta fine ad una situazione confusa ed insostenibile anche per i costi che comporta e per la fiducia del bagnante.

3.5) Nuovi parametri chimici e microbiologici di possibile considerazione
In precedenza è stata fatta una “appassionata” difesa del Cloro in vasca perché l’esperienza insegna quanto siano più gravi ed immediati i rischi microbiologici rispetto a quelli derivanti dall’impiego di prodotti disinfettanti (ovviamente senza eccessi ma bensì nel rispetto “vero” dei valori parametrati).
Questa esperienza è inoltre strettamente connessa alla realtà delle migliaia di piscine esistenti oggi in Italia per la cui realizzazione sono stati seguiti criteri progettuali difficilmente modificabili.
In realtà si stanno sempre più sviluppando nuove preoccupazioni che, per quanto riguarda il Cloro, sono relative alla formazione di sottoprodotti di reazione piuttosto che al Cloro medesimo. Cioè i composti organoalogenati già noti nel campo della potabilizzazione (i THM ma non solo) che, nel caso delle piscine, si “arricchiscono” maggiormente di altri sottoprodotti (acidi aloacetici, aloacetonitrili, ecc..).
Inoltre, similmente a quanto avviene nella potabilizzazione, anche gli altri disinfettanti (Ozono, Biossido di Cloro, Bromoderivati), eventualmente utilizzati al di fuori di vasca (specialmente Ozono) o in sostituzione del Cloro (specialmente Biossido di Cloro o Bromo), portano alla formazione dei loro “tipici” sottoprodotti.
Nel caso delle piscine il fenomeno però acquista una specificità particolare in quanto:
– la materia organica nella matrice acqua è tendenzialmente più elevata e quindi c’è una maggiore presenza di “precursori”;
– l’acqua di piscina non viene (si spera) bevuta in grande quantità mentre è più importante l’aspetto dell’inalazione e quindi, da un punto di vista igienico – sanitario, risultano più pericolosi i sottoprodotti volatili;
– infine sono importanti quei sottoprodotti che possono creare problemi all’epidermide, alle mucose, agli occhi, ecc…
Anche se per ora il problema è relativamente poco noto e quindi non regolamentato, è evidente che qualsiasi soluzione deve riguardare contemporaneamente molteplici fattori.
Non deve accadere cioè quello che accadde con il Cloro per l’acqua potabile tanti anni fa quando, in base a spinte “emozionali” si attuarono drastiche riduzioni dei dosaggi di Cloro (con conseguente incremento delle malattie intestinali o peggio) o “miracolose” sostituzione del Cloro con altri disinfettanti che poi si sono rilevati altrettanto, se non più, pericolosi.
Poiché comunque è chiaro che la materia organica è la principale responsabile della formazione dei sottoprodotti, è altrettanto chiaro che gli interventi “integrati” devono soprattutto riguardare:
– maggior controllo dell’igiene personale del bagnante;
– miglioramento dei trattamenti dell’acqua ricircolata;
– maggiore ricambio di acqua;
– miglioramento del microclima (ricambio di aria, umidità, ecc..).

Si ritiene in ogni caso importante sottolineare ancora l’assoluta priorità della disinfezione considerato che il rischio associato ai problemi di cui sopra è certamente minore del rischio associato ad altri fattori ambientali (compreso l’acqua potabile) e che i vantaggi sulla stessa salute della attività natatoria sono enormemente superiori al rischio stesso.
Riguardo all’aspetto microbiologico si sottolinea ancora che i parametri comunemente adottati e precedentemente esaminati sono solo degli “indicatori” rappresentativi di una varietà enorme di microrganismi patogeni (virus, funghi, ecc..) e che la loro dimostrata uccisione o disattivazione è ritenuta sufficiente a ritenere analogamente uccisi o inattivati tutti gli altri microrganismi.
In realtà questo non sempre è vero in quanto esistono microrganismi (alcuni dei quali di più recente considerazione) che dimostrano una particolare resistenza al Cloro.
Ciò rinforza la precedente raccomandazione di non “abbassare la guardia” rispetto al dosaggio dei disinfettanti ma che bisogna pure porre più attenzione, anche analitica, a questi agenti patogeni.
Si segnalano in particolare la Legionella (pericolosa solo se inalata: quindi attenzione all’acqua di vasca ma anche, e soprattutto, alle docce e al ricambio d’aria) e i protozoi (Giardia e Criptosporidio) più efficacemente rimossi dalla filtrazione che non da qualsiasi disinfettante chimico.
Senza considerare tutti gli aspetti relativi all’igiene degli ambienti: pavimenti, docce, spogliatoi, vaschette lavapiedi, ecc…
Una volta si affermava che, in un impianto natatorio, il punto comunque più sicuro è la “vasca”: purtroppo questo è ancora vero.

3.6) Il dimensionamento degli impianti
Riguardo al numero massimo di bagnanti ammessi contemporaneamente in vasca c’è una sostanziale uniformità tra la Circolare N. 128 e l’Atto di Intesa (2/m2), mentre sono molto diversi i tempi prescritti di ricircolazione dell’acqua (8 h per la prima e più articolato nel secondo a seconda della tipologia di utilizzazione ma comunque con un massimo di 6 h).
L’Atto di Intesa è dunque conservativo ma manca di una importantissima indicazione che invece è contenuta nella Circolare N.128 laddove (timidamente) si consiglia di attuare una congrua sosta tra 2 turni successivi di balneazione.
Posto infatti che nessuna ragionevole piscina al mondo potrebbe tollerare le condizioni estreme teoricamente possibili (cioè il numero massimo di bagnanti per 24 al giorno), la vecchia “Circolare” segnala almeno che il problema esiste ossia che bisogna dare il tempo agli impianti di “recuperare” la qualità desiderata o in altre parole che è necessario correlare il dimensionamento degli impianti di trattamento alle reali modalità di “sfruttamento” dell’acqua.
Come già accennato la sola Norma di Aqua Italia affronta il problema con un approccio tecnico – scientifico razionale che, se pur discutibile riguardo ad alcune variabili (ad esempio la reale efficienza degli impianti di filtrazione), dà un quadro abbastanza preciso di cosa avviene e di cosa deve essere fatto nell’eventualità di flussi variabili o costanti di bagnanti.
Purtroppo il problema è che nessun progettista è di solito in grado di prevedere tali flussi per considerarli nel dimensionamento mentre, d’altra parte, l’adozione di criteri conservativi porterebbe ad una inaccettabile lievitazione dei costi.

In definitiva il suggerimento della Circolare N. 128 rimane di fatto il più ragionevole se il rispetto della “congrua sosta” viene interpretato come regolamentazione del numero di accessi in piscina in base al monitoraggio continuo della qualità dell’acqua di vasca.
Purtroppo anche questo criterio non è di facile applicazione sia per gli aspetti tecnici che, soprattutto, per quelli economici.

4) Conclusione della prima parte
Lo scopo di questa prima parte dei due articoli previsti era quello di evidenziare come il mestiere del progettista, dell’installatore e del gestore della piscina sia molto complicato in assenza di una sicura legislazione di riferimento.
Si spera tuttavia che sia emersa con sufficiente chiarezza anche un’altra considerazione importante relativa al fatto che un’acqua ricircolata continuamente presenta problematiche molto più complesse di quelle, ad esempio, di un impianto di potabilizzazione.
Ciò serve da premessa alla prossima puntata dove, con la presentazione di schemi di trattamento e di tecnologie impiantistiche, non si daranno soluzioni “certe” e comunque applicabili.
In nessun caso cioè potrà essere sostituita o sottostimata l’esperienza di chi opera, a qualsiasi livello, in questo difficile settore.