Articolo pubblicato su La Palestra

 

Premessa dell’autore:

Ho scritto questo articolo molti anni fa, e l’ho rivisitato per La Palestra. Sul sito della rivista è stato subito commentato, non positivamente, devo dire, e ritengo quindi sia giusto chiarire che quello che esprimo nell’articolo è prima di tutto un problema reale e che le soluzioni che propongo sono mie considerazioni personali, non certo indicazioni ai gestori. Detto questo, leggetelo con l’occhio intelligente e benevolo dell’ironia.

In una società evoluta il rapporto tra i sessi è regolato dalle norme, dalle consuetudini, dalle abitudini e da una somma di regole non scritte che agevolano il nostro vivere civile. Inoltre, negli ultimi anni, i padri vengono sempre più coinvolti nell’educazione e nella cura dei figli, al punto da interscambiarsi con le madri in ogni aspetto che riguarda i bambini, dalla scuola al tempo libero.
Esiste però un luogo nel quale proprio non si riesce, chissà perché, a trovare il modo di far convivere serenamente i due sessi di cui è composta la razza umana: lo spogliatoio di un centro sportivo.
Sarà la ristrettezza degli spazi, sarà il fatto che, per quanto ci siamo evoluti, non lo siamo al punto da riuscire ad affrontare la nudità, sia la propria che quella degli altri, comunque sia, non se ne esce: non siamo culturalmente pronti ad affrontare la convivenza nello spogliatoio.
Il povero gestore fa quello che può: divide lo spogliatoio in due (maschile e femminile) avverte con cartelli ben visibili che è consigliato /vietato fare la doccia e/o mostrarsi nudi, ma le lamentele fioccano in continuazione.
La gamma è vastissima, si va dalla signora un po’ su di età che non sopporta di vedere le trentenni in forma fare la doccia nude al giovane inibito che teme che quel signore, naturalmente nudo, che lo guarda insistentemente (secondo lui) abbia cattive intenzioni.
Ma il vero dramma accade quando entrano in scena i bambini.

E qui cominciano i guai.

I bambini nudi nello stesso luogo in cui si trovano adulti vestiti, o viceversa, sono inesauribile fonte di lamentele già quando appartengono allo stesso sesso degli adulti, ma  la situazione evolve velocemente in  tragedia quando il genitore è di sesso opposto rispetto al figlio. Perché se, invece di un bel maschietto, ad essere accompagnata in piscina dal papà è una splendida femminuccia, ancora troppo piccola per essere in grado di cambiarsi da sola, ecco avanzare a passi da gigante il dubbio: “E adesso in quale spogliatoio vado…?”.
Tranquillo, caro papà, qualunque scelta tu faccia, per quanto seriamente ponderata, pur dopo aver esaminato tutti i possibili pro e anche tutti i contro, anche se hai chiesto il consiglio di tua moglie, la scelta si rivelerà sempre, senza ombra di dubbio alcuno, sbagliata.
Perché se un papà entra nello spogliatoio femminile escono le donne che un attimo prima erano nude e gridano al maniaco; se invece entra nello spogliatoio maschile con la sua femminuccia escono gli uomini che un attimo prima erano nudi e che si sono sentiti a disagio, padre compreso che pensa che quello che vede ogni giorno uscendo dalla doccia guardandosi allo specchio non sia uno spettacolo adatto alla propria figlioletta.
Stessa cosa per le madri che entrano nello spogliatoio maschile, solo un po’ meno perché la figura della madre è sempre protetta da un’aureola di santità e il fatto che accompagni il proprio figlio il più delle volte viene accompagnato da sommessi brontolii e non da grida isteriche di scandalo.
Che arrivano invece puntuali se un ragazzino entra nello spogliatoio femminile quando ci sono bambine nude. Da parte delle madri delle ragazzine, naturalmente.

Questo succede se il gestore della piscina non prende una posizione netta sull’argomento. Se invece la prende, decidendo con la sua testa quale utente, il bambino o l’adulto, debba determinare la scelta del sesso dello spogliatoio, non arrivano le grida isteriche al maniaco, ma le lamentele, quelle si. Continuamente.

Il problema si trascina, irrisolto, da qualche anno. In specifico da quando i padri hanno incominciato ad interessarsi dei figli. Risultato: “In piscina ce la porti tu, tua figlia”. E siamo punto daccapo.

Premesso che il problema, al di là dello scherzo, è delicato, poiché coinvolge la sfera morale e privata di ognuno di noi, che va comunque rispettata, vorrei porre l’attenzione su due aspetti.
Il primo: imparare a gestire la propria nudità in presenza di persone estranee è da sempre uno degli aspetti considerati formativi dello sport. Togliere ad un ambiente sportivo questa componente significa a mio parere ridurne la portata anche in termini di insegnamenti alla vita.
Il secondo: farsi coinvolgere troppo dalle notizie che si sentono nei telegiornali e pensare che il mondo sia costituito da maniaci non è sano. La stragrande maggioranza degli esseri umani è costituita da persone serie, civili, responsabili e rispettose, delle quali non ha senso temere.
E poi, diciamocelo: fare la doccia con il costume non ha senso, non si riesce a lavarsi !

Al gestore di una palestra o di una piscina restano poche possibilità oltre a quella di decidere “a tavolino” qual è il sesso che comanda nello spogliatoio nel caso in cui siano presenti in contemporanea adulti e bambini. La situazione più logica, e più frequente, è quella in cui gli accompagnatori adulti evitino di ritrovarsi con adulti del sesso opposto senza vestiti e quindi i papà accompagnano le bambine nello spogliatoio maschile e le mamme accompagnano i maschietti in quello femminile.
I bambini sono perfettamente in grado, se correttamente educati, di gestire la vista di adulti nudi anche se di sesso opposto al proprio. E poi, in fondo, siamo abbondantemente entrati nel terzo millennio, ci siamo ormai stufati di andare sulla Luna, non è pensabile che un bambino non abbia mai visto adulti nudi !
Per quanto riguarda poi gli adulti dello stesso sesso, lo spogliatoio è unico, fare la doccia con il costume è scomodo, un gestore non può diventare il sorvegliante dello spogliatoio per questioni come queste, e le lamentele lasciano il tempo che trovano. Punto.

Una alternativa praticabile, oltre a quella di cercare di far rispettare il divieto di spogliarsi completamente se non all’interno delle apposite cabine, è quella di dotare gli spogliatoi di personale di sorveglianza, che sia in grado di aiutare i bambini a cambiarsi da soli. In questo modo si può evitare di far entrare i genitori del sesso opposto ed è sicuramente più agevole far rispettare i divieti.

Un’altra possibilità, purtroppo in Italia osteggiata dalle norme, è quella di organizzare gli spogliatoi in modo simile a quello di tutto il resto dell’Europa, con una zona comune a maschi e femmine dotata di un gran numero di cabine a rotazione e una parte divisa per sesso che ospita le docce ed i bagni. In questo modo le famiglie possono cambiarsi insieme senza creare problemi di alcun tipo.
In questo caso è però indispensabile che i bambini siano autonomi quanto meno per lavarsi e su questo aspetto noi mamme italiane (e anche i papà, purtroppo…) lasciamo molto a desiderare. La nostra tendenza è quella di considerare autonomi i figli più o meno intorno alla maturità, ma ci sono casi nei quali si va anche oltre.

E quindi? Quella descritta in questo articolo è una delle situazioni nelle quali bisognerebbe riscoprire l’antico senso dello sport come maestro di vita. Un atteggiamento culturale ormai abbandonato, che aveva comunque una funzione sociale molto importante. Ci sono cose, nella vita, che non si possono cambiare (per tutto il resto c’è mastercard, lo so…) e che vanno accettate così come sono, senza discutere. Il fatto che dopo lo sport ci si debba lavare tutti insieme è una di queste. Chi non è in grado di accettarla non può fare sport. Si grida al miracolo della evoluzione sociale e culturale quando una signora di settant’anni si decide a frequentare una palestra o una piscina, perché non si deve pretendere che si metta in gioco anche accettando di vedere corpi nudi più giovani del suo? Nessuno impone a nessuno di spogliarsi, se non lo vuole, ma non è giusto imporre a chi lo vuole fare di non farlo. Non è giusto perché si tratta di libertà. Non è vero che chi si spoglia offende la libertà di chi non vuole vederlo nudo, perché da che mondo e mondo in uno spogliatoio sportivo ci si è spogliati per lavarsi. Il fatto che agli “uomini duri” del calcio si sia aggiunto un popolo di praticanti di tutti i tipi e di ogni età non significa che per questo vadano cambiate regole giuste, regole maestre di vita.

Gli utenti sono clienti, che vanno accontentati, quando si può, è vero. Ma questa è forse una situazione nella quale è possibile accontentare tutti i clienti? No. Non è possibile. Quindi, va per forza di cose presa una posizione. Coraggiosa, a volte, ma decisa. In questo spogliatoio ci si spoglia, e non si accettano lamentele, oppure in questo spogliatoio non ci si può spogliare. E chi può la doccia se la fa a casa, ovviamente.