la sentenza in oggetto tratta della condanna, per omicidio colposo, di due committenti di un’opera edile.

La questione di rilevanza, verte sulla posizione di garanzia del committente e sul potere/dovere di controllo, da parte di questi, delle attività dell’appaltatore.

FATTO secondo la prospettazione accusatoria (avvallata tanto in primo grado quanto in appello) gli imputati (R. e E.) agivano in cooperazione colposa con l’appaltatore e concorrevano nel cagionare per colpa generica e specifica la morte dell’operaio V., il quale, dovendo effettuare lavori di tompagnatura e trovandosi su una mensola posta al secondo piano del fabbricato in costruzione, perdeva l’equilibrio e, cadendo violentemente a terra riportava lesioni gravissime che ne cagionavano il decesso.

Gli accertamenti esperiti dagli ispettori del lavoro consentivano di affermare che la caduta dell’operaio era da attribuire alle condizioni precarie del cantiere, privo di qualsivoglia struttura di sicurezza.

Secondo la Corte di Appello ( a conferma della sentenza del Tribunale di Nola) la responsabilità dei due committenti è collegata alla posizione di garanzia assunta, per non avere verificato l’idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice a svolgere quel tipo di lavorazione e per non aver attivato i poteri di inibizione dei lavori per mancanza di una corretta dotazione id uomini e mezzi.

Gli imputati hanno proposto separatamente ricorso avanti alla Suprema Corte di Cassazione, negando l’esistenza di una posizione di garanzia del committente dell’opera concorrente con quella del datore di lavoro.

 

CASSAZIONE

la Suprema Corte ha articolato e analizzato la vicenda partendo dall’analisi delle norme in materia, ed è arrivata, dietro un lungo e complesso ragionamento giuridico a confermare la sentenza nei confronti di E. e ad accogliere (per le ragioni in seguito specificate) le doglianze di R.

Il giudice d’appello ha condiviso la ricostruzione fattuale emersa, operando un rinvio all’evoluzione normativa della posizione di garanzia che assume il committente. Tale dovere deve esplicarsi non solo nella fase della scelta dell’impresa, mediante un controllo di tipo documentale, ma anche nelle successive fasi dell’attività svolta nel cantiere. A fronte di una simile posizione di garanzia, nel caso concreto era emersa l’inadeguatezza, anche sotto il profilo dimensionale dell’impresa.

Ha ritenuto la Corte che:

–        V. era precipitato da una delle mensole, poste al secondo piano della struttura già eretta, intento a lavorare in completa assenza di protezione;

–        l’opera non poteva essere considerata di minima entità, implicando la costruzione di un edificio di ben tre piani;

–        la ditta appaltatrice era inadeguata sotto il profilo dimensionale;

–        al momento del decesso mancava nel cantiere qualsivoglia dotazione di sicurezza;

–        quanto alla violazione degli obblighi da parte del datore di lavoro, oggetto a loro volta dell’obbligo di verifica in capo ai committenti era stata dimostrata l’omessa valutazione dei rischi  e l’omessa redazione del POS;

–        tali carenze erano rilevabili dalla committenza, trattandosi di cantiere in atto da tempo;

–        E. era solito portare il caffè in cantiere tutti i giorni (per cui era a conoscenza diretta dello stato del cantiere);

–        non erano stati attivati i poteri di inibizione dell’inizio/prosecuzione dei lavori, a fronte delle macroscopiche carenze;

–        totale assenza di protezioni.

In definitiva per la Corte, l’omissione del controllo e la mancata adozione dei provvedimenti inibitori da parte dei committenti, a fronte delle macroscopiche inadeguatezze della ditta e delle vistose irregolarità del cantiere, hanno costituito condotte colpose causalmente collegate all’evento morte, e ciò al di là della insussistenza dell’obbligo di nominare un coordinatore di sicurezza o della mancata ingerenza nell’attività dell’appaltatore.

Nelle proprie valutazione la Corte di Cassazione formula talune considerazioni preliminari, in merito alla responsabilità del committente.

Evidenzia la Corte come gli imputati siano stati chiamati a rispondere del reato loro contestato per colpa generica e colpa specifica, individuata quest’ultima nella violazione delle norme anti-infortunistiche riconducibili alla qualità di committenti privati di un’opera edile, per la cui esecuzione era stato allestito un cantiere che vedeva impegnata una sola ditta (cantiere c.d. Sotto soglia), senza obbligo, per il committente di nominare un coordinatore per la progettazione e un coordinatore per la esecuzione dei lavori.

Altresì la Corte pone il preliminare problema di ricostruire esattamente lo statuto della committenza non qualificata. La figura del committente dei lavori ha infatti trovato esplicito riconoscimento solo con il Dlgs n. 494/1996 concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili. Prima di esso detto ruolo non era in alcun modo menzionato. Con ciò si escludeva che il committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionisiche verificatesi nel cantiere e nell’esecuzione dei lavori, per i quali rispondeva solo il datore di lavoro. Una responsabilità concorrente del committente veniva ravvisata solo quanto questi travalicava tale ruolo ingerendosi nella posizione direttiva.

Il quadro giuridico di riferimento è mutato con il dlgs n. 494/1996 poiché la figura del committente ha trovato in quello strumento normativo una espressa definizione, così come vi hanno trovato esplicitazione gli obblighi sullo stesso incombenti. Sulla scorta di tale normativa il committente è quindi titolare ex lege di una posizione di garanzia.

Già con sentenza n. 10608 del 04.12.2012 la Suprema Corte aveva affermato che il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell’infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini.

Ad ogni buon conto la Corte ha anche avvertito la necessità che tale principio non conosca una applicazione automatica “non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori” (Cass. Sez. 4 n. 3563 dd. 18.01.2012). Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta sull’evento.

 

POSIZIONE DI E.:

la Corte del merito ha, secondo la Cassazione, correttamente ricostruito la condotta colposa del committente E, sia con riferimento alla scelta della ditta appaltatrice, tenuto conto degli obblighi di verifica imposti dal dlgs n. 494 del 1996, che sulla scorta dell’omesso controllo dell’adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro. In tale prospettiva, è corretto affermare che le capacità tecniche ed organizzative della ditta appaltatrice apparissero del tutto inadeguate alla tipologia dei lavori commissionati: la ditta era sottodimensionata; stava impiegando la quasi totalità di operai in nero e l’opera richiedeva l’impiego di una forza lavoro superiore rispetto a quella formalmente indicata; il cantiere era privo dei minimi presidi di sicurezza e la ditta non aveva neppure adottato il documento di valutazione dei rischi e il POS. Tali circostanze erano immediatamente percepibili dal committente E, in quanto soggetto solito frequentare giornalmente il cantiere e che, soprattutto, aveva sollecitato e negoziato l’esecuzione dei lavori.

Pertanto, “il committente, quale quello che affidi i lavori ad un’unica impresa, concorre, in definitiva, unitamente alle altre figure di garanti legalmente individuati, alla gestione del rischio connesso alla realizzazione di un’opera che ha specifiche caratteristiche ed è a lui riconducibile direttamente, in quanto ideatore, progettatore e finanziatore e, pertanto, vero dominus di essa, titolare di poteri di inibizione, la mancata attivazione dei quali, nel caso di specie, ha consentito la prosecuzione dei lavori in totale difformità alle norme più elementari poste a presidio dell’incolumità dei lavoratori impegnati nella esecuzione dell’opera stessa, ponendosi in rapporto di causa-effetto con il decesso dell’operaio”.

 

POSIZIONE R. :

nei confronti di R. nessuno dei giudici di merito ha esposto elementi e circostanze di fatto che la ricolleghino al cantiere e all’attività che vi si svolgeva, diversi dalla formale committenza e dalla titolarità dell’edificio. Nel suo caso, il rimprovero sulla scelta dell’impresa non potrebbe andare oltre la verifica documentale condotta nella fase iniziale dei lavori. Mentre in merito alla fase di esecuzione, in cui si verificò il sinistro, non è emerso alcuna ingerenza o alcuna attività da parte di R. tale da farle assumere una posizione di garanzia.

In sostanza la Suprema Corte, distingue nettamente la posizione dei due committenti, valutando in ogni caso specifico l’attività del soggetto, tale da desumere nel concreto l’eventuale stato  di inefficienza del cantiere e dell’operato del datore di lavoro. Nel caso dunque lo stato di conoscenza venga accertato anche il committente sarà ritenuto titolare di una posizione di garanzia, e quindi in caso di sinistro sarà chiamato a rispondere.

 

Articolo dell’avv.Maura Bridarolli