In questi ultimi anni, “l’acquaticità neonatale” è diventata molto popolare e intorno ad essa si è sviluppato un grande interesse.
Circa 30 anni fa, hanno cominciato a sperimentare i primi metodi del nuoto neonatale che, negli ultimi tempi, hanno subito una continua evoluzione.
Il nuoto neonatale, come già approfondito nel primo capitolo, stimola il neonato al movimento, alla presa di coscienza di se stesso e dell’ambiente che lo circonda, imparando a conservare il riflesso di apnea e a sviluppare la muscolatura.
Questo non vuol dire che solo i neonati che partecipano ai corsi di acquaticità si svilupperanno correttamente, ma si è notato che, rispetto a quelli che non nuotano in età precoce, essi crescono con una maggiore consapevolezza di sé e questo non può che giovare allo sviluppo del bambino.
Prima di andare a illustrare i vantaggi e i benefici del nuoto neonatale e le motivazioni per le quali i genitori sono sempre più propensi a iscrivere i figli a questi corsi, si deve analizzare l’acquaticità neonatale in tutti i suoi aspetti.
Per definizione, il nuoto neonatale è un’attività motoria che si svolge in acqua sin dai primi 3 mesi di vita e che consiste, sostanzialmente, nel mantenere la cosiddetta acquaticità, tipica del neonato, che lo porta a stare in acqua nella maniera più semplice e congeniale, adeguando il suo modo di muoversi e di respirare, sperimentando situazioni diverse, altrimenti impossibili sulla terraferma.
Per “acquaticità” si intende il grado di sensibilizzazione dell’apparato neuromuscolare, attraverso l’acquisizione di uno schema corporeo adattato alle esigenze spaziali dell’elemento acqua ed una consapevole capacità di cogliere, nel rilassamento corporeo, nuove sensazioni percettive.
Infatti, se lo sviluppo psicomotorio necessita del maggior numero di stimoli ed informazioni possibili, per dare un’ immagine del proprio corpo e del suo movimento, l’ambiente acquatico, dato che si alterano tutti i rapporti gravitazionali e spaziali del soggetto, è fonte di stimoli e di percezioni cinestesiche; indirettamente sarà soggetto ad ampliare il più possibile il bagaglio di sperimentazioni, che gli permetteranno progressivamente di muoversi con maggior facilità e naturalezza nell’ambiente acquatico, scoprendo, per somma di percezioni, il rapporto che esiste tra il proprio corpo, il movimento ed il mezzo liquido.
E’ consigliabile iniziare con i primi galleggiamenti domestici nella vasca da bagno, per poi passare alla piscina, rispettando i tempi e i ritmi del bambino.
I corsi sono costituiti da una prima parte di adattamento, una seconda parte volta al galleggiamento e una terza e ultima parte che si focalizza sull’ immersione: questi tre momenti chiave fanno parte di uno degli obiettivi principali dell’acquaticità neonatale, cioè l’ambientamento.
Non bisogna spaventarsi e agitarsi, quando il bambino si immerge in acqua: è importante ricordarsi che esiste “un meccanismo innato di protezione respiratoria”, detto riflesso di apnea, che blocca l’atto respiratorio, chiudendo la glottide, che si attiva quando l’acqua tocca i recettori intorno alla bocca e al naso del neonato, permettendo così al bambino di non respirare sott’acqua. Questo meccanismo inizia a scomparire tra il 3° e il 6° mese di vita e svanisce definitivamente tra il 9 ° e l’ 11° mese.
Durante le esercitazioni in piscina, può succedere che il bimbo ingoi dell’acqua: qualunque reazione egli abbia, i genitori devono rimanere calmi e sereni, almeno esteriormente, sorridendo e tranquillizzando il bambino.
L’acqua rappresenta, in questo contesto, un elemento privilegiato, all’interno del quale il neonato – con i genitori – vive un’esperienza positiva per la salute psico-fisica, in grado di fargli vivere piacevoli sensazioni, legate al mondo acquatico, completamente diverse da quelle che gli fa provare il mondo terrestre: sensazioni che il bambino condividerà con i genitori rafforzando, cosi, il loro legame e la loro relazione affettiva.
La partecipazione materna, durante l’esperienza di acquaticità neonatale, riveste una valenza del tutto prioritaria: è per questo che l’intervento dell’istruttore deve partire dalla DIADE madre-bambino.
IL RUOLO DEI GENITORI e LA DIADE MADRE-BAMBINO
L’ “imprinting” tra madre e bambino, termine adottato da alcuni psicologi, serve per descrivere l’influenza della madre sul suo bambino e l’attaccamento di questo a lei: esso si stabilisce al momento della nascita ed è così forte, che condiziona il bambino anche durante le esperienze in acqua.
Proprio per questo, durante i corsi di acquaticità neonatale, è indispensabile la presenza fuori e dentro l’acqua della mamma o di un componente della famiglia, che deve trasmettere al bambino sicurezza e tranquillità.
La diade- madre bambino può essere considerata come un sistema dove ogni soggetto è influenzato ed è influenzante.
I bambini hanno una grande sensibilità nei confronti dei loro famigliari e reagiscono in maniera evidente, quando i genitori trasmettono loro i propri sentimenti e le proprie emozioni: essi devono cercare di infondere ai propri figli sensazioni e sentimenti positivi.
Per non rendere l’esperienza acquatica traumatica per il bambino, è bene che anche i genitori partecipino all’attività, facendosi vedere tranquilli e sorridenti, così da non trasmettere la paura dell’acqua al figlio.
Infatti, il bambino, impaurito, potrebbe rifiutare il contatto con l’acqua, iniziando a piangere, ancor prima di entrare in vasca.
Le diverse esperienze e situazioni in acqua sono uno specchio della famiglia: in base a come il bambino risponde, si può capire che cosa gli trasmettono i genitori.
Per esempio, se la madre ha paura dell’acqua, per prima cosa sarà necessario lavorare su di lei, facendole acquisire sicurezza e tranquillità: quando avrà superato la paura dell’acqua e non trasmetterà più sensazioni negative, ci vorrà molto meno tempo per raggiungere uno stato di benessere in vasca, anche per il bambino.
La pratica dell’acquaticità porta a una crescita positiva, che coinvolge entrambe le parti, i piccoli, ma anche i loro genitori.
Prof. Giuseppe Righini
ASPETTI TECNICI E DIDATTICI DELL’ACQUATICITA’
In questi ultimi anni, “l’acquaticità neonatale” è diventata molto popolare e intorno ad essa si è sviluppato un grande interesse.
Circa 30 anni fa, hanno cominciato a sperimentare i primi metodi del nuoto neonatale che, negli ultimi tempi, hanno subito una continua evoluzione.
Il nuoto neonatale, come già approfondito nel primo capitolo, stimola il neonato al movimento, alla presa di coscienza di se stesso e dell’ambiente che lo circonda, imparando a conservare il riflesso di apnea e a sviluppare la muscolatura.
Questo non vuol dire che solo i neonati che partecipano ai corsi di acquaticità si svilupperanno correttamente, ma si è notato che, rispetto a quelli che non nuotano in età precoce, essi crescono con una maggiore consapevolezza di sé e questo non può che giovare allo sviluppo del bambino.
Prima di andare a illustrare i vantaggi e i benefici del nuoto neonatale e le motivazioni per le quali i genitori sono sempre più propensi a iscrivere i figli a questi corsi, si deve analizzare l’acquaticità neonatale in tutti i suoi aspetti.
Per definizione, il nuoto neonatale è un’attività motoria che si svolge in acqua sin dai primi 3 mesi di vita e che consiste, sostanzialmente, nel mantenere la cosiddetta acquaticità, tipica del neonato, che lo porta a stare in acqua nella maniera più semplice e congeniale, adeguando il suo modo di muoversi e di respirare, sperimentando situazioni diverse, altrimenti impossibili sulla terraferma.
Per “acquaticità” si intende il grado di sensibilizzazione dell’apparato neuromuscolare, attraverso l’acquisizione di uno schema corporeo adattato alle esigenze spaziali dell’elemento acqua ed una consapevole capacità di cogliere, nel rilassamento corporeo, nuove sensazioni percettive.
Infatti, se lo sviluppo psicomotorio necessita del maggior numero di stimoli ed informazioni possibili, per dare un’ immagine del proprio corpo e del suo movimento, l’ambiente acquatico, dato che si alterano tutti i rapporti gravitazionali e spaziali del soggetto, è fonte di stimoli e di percezioni cinestesiche; indirettamente sarà soggetto ad ampliare il più possibile il bagaglio di sperimentazioni, che gli permetteranno progressivamente di muoversi con maggior facilità e naturalezza nell’ambiente acquatico, scoprendo, per somma di percezioni, il rapporto che esiste tra il proprio corpo, il movimento ed il mezzo liquido.
E’ consigliabile iniziare con i primi galleggiamenti domestici nella vasca da bagno, per poi passare alla piscina, rispettando i tempi e i ritmi del bambino.
I corsi sono costituiti da una prima parte di adattamento, una seconda parte volta al galleggiamento e una terza e ultima parte che si focalizza sull’ immersione: questi tre momenti chiave fanno parte di uno degli obiettivi principali dell’acquaticità neonatale, cioè l’ambientamento.
Non bisogna spaventarsi e agitarsi, quando il bambino si immerge in acqua: è importante ricordarsi che esiste “un meccanismo innato di protezione respiratoria”, detto riflesso di apnea, che blocca l’atto respiratorio, chiudendo la glottide, che si attiva quando l’acqua tocca i recettori intorno alla bocca e al naso del neonato, permettendo così al bambino di non respirare sott’acqua. Questo meccanismo inizia a scomparire tra il 3° e il 6° mese di vita e svanisce definitivamente tra il 9 ° e l’ 11° mese.
Durante le esercitazioni in piscina, può succedere che il bimbo ingoi dell’acqua: qualunque reazione egli abbia, i genitori devono rimanere calmi e sereni, almeno esteriormente, sorridendo e tranquillizzando il bambino.
L’acqua rappresenta, in questo contesto, un elemento privilegiato, all’interno del quale il neonato – con i genitori – vive un’esperienza positiva per la salute psico-fisica, in grado di fargli vivere piacevoli sensazioni, legate al mondo acquatico, completamente diverse da quelle che gli fa provare il mondo terrestre: sensazioni che il bambino condividerà con i genitori rafforzando, cosi, il loro legame e la loro relazione affettiva.
La partecipazione materna, durante l’esperienza di acquaticità neonatale, riveste una valenza del tutto prioritaria: è per questo che l’intervento dell’istruttore deve partire dalla DIADE madre-bambino.
IL RUOLO DEI GENITORI e LA DIADE MADRE-BAMBINO
L’ “imprinting” tra madre e bambino, termine adottato da alcuni psicologi, serve per descrivere l’influenza della madre sul suo bambino e l’attaccamento di questo a lei: esso si stabilisce al momento della nascita ed è così forte, che condiziona il bambino anche durante le esperienze in acqua.
Proprio per questo, durante i corsi di acquaticità neonatale, è indispensabile la presenza fuori e dentro l’acqua della mamma o di un componente della famiglia, che deve trasmettere al bambino sicurezza e tranquillità.
La diade- madre bambino può essere considerata come un sistema dove ogni soggetto è influenzato ed è influenzante.
I bambini hanno una grande sensibilità nei confronti dei loro famigliari e reagiscono in maniera evidente, quando i genitori trasmettono loro i propri sentimenti e le proprie emozioni: essi devono cercare di infondere ai propri figli sensazioni e sentimenti positivi.
Per non rendere l’esperienza acquatica traumatica per il bambino, è bene che anche i genitori partecipino all’attività, facendosi vedere tranquilli e sorridenti, così da non trasmettere la paura dell’acqua al figlio.
Infatti, il bambino, impaurito, potrebbe rifiutare il contatto con l’acqua, iniziando a piangere, ancor prima di entrare in vasca.
Le diverse esperienze e situazioni in acqua sono uno specchio della famiglia: in base a come il bambino risponde, si può capire che cosa gli trasmettono i genitori.
Per esempio, se la madre ha paura dell’acqua, per prima cosa sarà necessario lavorare su di lei, facendole acquisire sicurezza e tranquillità: quando avrà superato la paura dell’acqua e non trasmetterà più sensazioni negative, ci vorrà molto meno tempo per raggiungere uno stato di benessere in vasca, anche per il bambino.
La pratica dell’acquaticità porta a una crescita positiva, che coinvolge entrambe le parti, i piccoli, ma anche i loro genitori.
Prof. Giuseppe Righini
Figura 1