«Un futuro tragico se il Comune non si mette in testa che lo sport di base deve essere tutelato e che quindi c’è necessità di contributi economici». L’allarme del presidente dell’Agenzia dello sport arriva dopo la notizia che l’amministrazione affiderà palestre e impianti sportivi all’aperto (tutti pubblici) tramite manifestazioni d’interesse. Un procedimento che è già stato avviato per le palestre Testoni a lato delle medie Fattori e per i locali sottostanti l’Ipsia, che fino a poche settimane fa facevano capo rispettivamente al Centro Uisp e alla Uisport92 e che il Comune ha sottoposto a manifestazione d’interessi (in scadenza il prossimo 9 settembre). «In verità si tratta di vere e proprie gare – spiega Garzelli – in cui si mettono in competizione le associazioni locali che garantiscono lo sport di base e che non hanno fondi per accollarsi la gestione completa di complessi sportivi. La palestra dell’Ipsia e la Testoni sono solo l’inizio, l’intenzione del Comune è quella di arrivare a mettere a gara tutti gli impianti, per buona parte dei quali le convenzioni scadono entro il 2017». Una scelta che evidentemente il presidente dell’Agenzia dello sport non condivide. «È necessario che il Comune – prosegue – si faccia carico della gestione degli impianti, bisogna mettersi a un tavolino e capire come collaborare». Garzelli elenca una serie di problemi che le associazioni sportive si trovano a dover gestire. «La legge regionale 68/2015 – dice – detta regole sulla presenza di defibrillatori in tutti gli impianti, norme che implicano sorveglianza e manutenzione del Dae. È evidente che le associazioni sportive non hanno fondi per questo tipo di attività, come non li possono avere per pagare i lavori di manutenzione e ristrutturazione degli impianti. Mettere a gara le strutture sportive significa far morire le associazioni, che non hanno soldi per coprire tutta la gestione».
Secondo Garzelli, il rischio finale è che le varie gare per affidare spazi sportivi all’aperto e palestre vadano deserte, o comunque non garantiscano una gestione corretta delle strutture.
«Ciò significa – dice ancora – che sul territorio potranno arrivare grandi soggetti che magari gestiscono decine di palestre. Questo porterà alla fine delle associazioni locali,e anche alla fine dello sport di base che finora è sempre stato garantito. Il Comune deve capire che dagli impianti sportivi non si può guadagnare. Non si dica che tutti fanno così, dato che altre amministrazioni, come quella di San Vincenzo, danno contributi di gestione».
Questo tema sta diventando sempre più attuale anche per quanto riguarda la gestione dei grandi impianti natatori. Molti di essi sono chiusi a causa del fallimento delle società che li hanno realizzati negli anni passati tramite procedure di Project Financing e gli Enti Locali si interrogano sul futuro dello sport, in una situazione di carenza quando non di totale assenza di risorse economiche.
Quale sarà il futuro dello Sport in Italia? Chi e come potrà assicurare il proseguimento di un servizio che è entrato da anni a pieno titolo tra i diritti dei cittadini?
E ancora, possono le società private accollarsi interamente i costi di un servizio pubblico?
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Allenatore (Milano):
la risposta a questo quesito non è certo facile ed univoca, ma perlopiù è legata ai singoli contesti e alle modalità di interazione tra le Amministrazioni Comunali e le società sportive del territorio.
Esistono contesti nei quali alcuni impianti non sono mai esistiti (il caso delle piscine è emblematico) e sul territorio non vi è una tradizione o una storia sportiva e quindi un affidamento attraverso gara può essere accettabile, in altri contesti al contrario dove certe pratiche sportive sono consolidate il discorso diventa molto più complicato e in taluni casi la gara di gestione diventa “inaccettabile”.
Cercherò di spiegarmi meglio: esistono comuni che per anni hanno gestito direttamente i propri impianti sportivi concedendo alle società del territorio spazi affinchè potessero svolgere le loro attività; molte volte tali concessioni avevano dei vincoli tariffari volti a dare alla più larga fetta di popolazione la possibilità di poter fare sport, definendo una ben determinata politica sportiva, educativa e sociale a livello locale.
Se da un lato queste azioni hanno avuto dei risvolti positivi di medio e lungo periodo nei confronti della cittadinanza, dall’altro ha creato una sorta di condizione di equilibrio precario a livello economico-gestionale sia per le società sportive e sia per le amministrazioni locali. Le prime dovendo soltanto gestire spazi ed attività non hanno sviluppato o solo parzialmente negli anni al loro interno capacità di tipo organizzativo-manageriali rimanendo di fatto e nei fatti realtà dilettantistiche (non che questo sia una cosa negativa); le seconde invece hanno continuato a perseguire politiche di tipo sociale-sportivo fintanto che le finanze pubbliche lo hanno consentito, in alcuni casi mettendo in secondo piano la conservazione dell’efficienza dei propri impianti sportivi (politica che nel breve periodo paga per i pochi costi ma che si rivela fortemente miope nel medio e lungo periodo con impianti fatiscenti pieni di problemi e con costi di gestione folli).
Nel momento in cui la crisi si è fatta sentire, ma ancor più con un cambio di paradigma politico nella gestione dei beni pubblici da parte delle amministrazioni locali, molto meno incentrate a costruire politiche (che hanno indubbiamente dei costi), ma fortemente orientate ad una rendicontazione economica dei servizi pubblici locali, questo equilibro precario si è rotto.
Le molte gare di appalto e/o manifestazione di interesse, per quanto quest’ultime meno vincolanti e di indirizzo rispetto alle gare, pongono dei vincoli alla partecipazione legati alla stabilità economica del soggetto (fatturati e garanzie fidejussorie dai 4 zeri a salire), ai suoi titoli di garanzia come gestore (“con almeno 3-5 anni di gestione in impianti di questo tipo/classe”), che mettono fuori causa la stragrande maggioranza delle società sportive locali del territorio, società anche non piccole con più di 200/300 atleti tesserati ma che da un punto vista societario sono poca cosa, rispetto a soggetti che fanno della gestione degli impianti sportivi il loro core business e che magari su 4-5 impianti fanno fatica a mettere assieme una cinquantina di atleti delle squadre sportive.
La funzione di una amministrazione pubblica a livello locale, a mio modo di vedere, deve essere orientata anche alla tutela e alla promozione delle attività imprenditoriali sul proprio territorio e di questa visione devono farne parte anche le società sportive anche in rispetto di chi presta servizio al loro interno a staff di istruttori, allenatori, dirigenti, collaboratori che oltre alla passione per quella particolare disciplina sportiva hanno un attaccamento al proprio territorio. In quest’ottica le diverse amministrazioni dovrebbero, accertata l’impossibilità a livello di finanze pubbliche di continuare una gestione diretta degli impianti, favorire la costituzione di società di gestione a livello locale mettendo a sistema quelle esistenti, costruire percorsi graduali di “autonomia” e di presa in carico parziale degli impianti; solo in caso in cui non vi siano le condizioni di contesto la strada dell’esternalizzazione del servizio diventa praticabile, in quanto la stagione delle municipalizzate ed affidamenti in-house è al tramonto (stanno chiudendo per legge).
Rimane chiaro che per palestre scolastiche da un lato e da impianti complessi e di grandi dimensioni le cose cambiano: per i primi che hanno comunque un utilizzo limitato in quanto a disposizione dei plessi scolastici è ridicola (per non dire miserabile a livello politico) la proposta di esternalizzazione; qui il coinvolgimento delle società sportive locali deve essere più stretto con proposte sportive integrate nell’orario scolastico e nel doposcuola per incentivare i numeri, ma dall’altro una compartecipazione nelle spese e nella manutenzione delle strutture. Per quanto invece concerne i grandi impianti quelli vadano da sè che si debba passare per gara di appalto anche se molte volte i problemi gestionali sono legati ad errori di calcolo del bacino di utenza, alla posizione geografica, al dimensionamento stesso dell’impianto, a visioni molte volte miopi e autoconcluse da parte delle singole amministrazioni, quando invece l’orizzonte invece deve essere intercomunale, se non provinciale in certi ambiti